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AlbertoFalchi

LinkedIn: non è importante la quantità di connessioni, ma la qualità

LinkedIn: non è importante la quantità di connessioni, ma la qualità 1503 1072 AlbertoFalchi

Oramai affermato da anni come uno dei più potenti strumenti per il networking professionale e la creazione di relazioni commerciali, LinkedIn offre un’ottima possibilità per espandere la tua rete e promuovere il tuo marchio personale o aziendale. Avere tante connessioni è una situazione ambita da quasi tutti i frequentatori dei social network, tuttavia, un grande numero di follower su LinkedIn non è un fattore determinante per il successo. In questo articolo, scoprirai come coinvolgere le persone giuste avendo come bussola i concetti che stanno alla base della gamification.

La qualità dei follower su LinkedIn

Aumentare l’engagement dei tuoi follower e coinvolgere le persone in linea col tuo profilo professionale è un obiettivo coerente con l’uso di LinkedIn, ma fai attenzione: il numero dei follower non è direttamente proporzionale al livello di engagement. Infatti, se la maggior parte delle persone che ti seguono non è pertinente al tuo settore e non è visibilmente interessata a ciò che condividi, il valore presunto derivante dal gran numero di tuoi contatti, avrà in realtà davvero poca importanza.

È utile quindi che tu sappia identificare prima quali sono le caratteristiche che conferiscono valore ai tuoi follower per poter scegliere poi quali tecniche di gamification adottare per attirare quelli più adatti al tuo business.

La qualità dei follower può essere definita in base a diversi fattori come pertinenza, interazione e autorevolezza. Vediamoli nel dettaglio. I follower pertinenti, ovvero quelli che appartengono al tuo settore o che sono interessati al tuo lavoro, hanno una maggiore probabilità di trovare gradevoli i tuoi contenuti e verosimilmente sapranno prendere parte alle discussioni in maniera più competente e interessante rispetto a follower “generici”, capaci solamente di esprimere la loro approvazione o le loro critiche senza però fornire una reale motivazione per le loro argomentazioni. I follower che interagiscono con il tuo contenuto attraverso like, commenti e condivisioni creano un coinvolgimento attivo e contribuiscono alla visibilità del tuo profilo. Non è pensabile che solo gli addetti ai lavori possano dire la loro, pertanto ben vengano anche color che non sono totalmente padroni dell’argomento trattato perché stanno ancora creandosi la loro professionalità, grazie magari anche ai contenuti che condividi su LinkedIn: l’importante è che questa tipologia di persone non costituisca la maggioranza dei tuoi follower. Autorevolezza: i follower con una forte presenza online, riconosciuti come figure autorevoli nel tuo settore, possono sicuramente aumentare di riflesso la tua credibilità e la tua reputazione all’interno della piattaforma per attirare a loro volta altre persone giuste. Quindi se riuscirai a essere seguito da queste, sicuramente avrai la possibilità di intercettare anche una fetta dei loro follower pertinenti e aumentare di riflesso il tuo numero di connessioni di qualità.

Ma quindi, nello specifico, da dove dovresti partire? Prima di tutto è fondamentale che tu definisca bene qual è il tuo pubblico di riferimento, quali sono i tuoi clienti ideali, i tuoi fornitori, ed eventualmente i tuoi potenziali datori di lavoro. Questo ti aiuterà a creare contenuti mirati capaci di attirare l’attenzione di tutte le figure professionali pertinenti che hai individuato, e per farlo potresti anche effettuare una ricerca di parole chiave pertinenti al tuo settore per identificare gli argomenti più ricercati e popolari. In questo modo potrai utilizzare nei tuoi post queste parole chiave per migliorare la visibilità del tuo contenuto e raggiungere il maggior numero di persone interessate ai tuoi argomenti. Oltre alla “sostanza” ovviamente dovresti pensare anche alla “forma”, e potresti quindi sperimentare con video, infografiche, podcast e presentazioni per offrire una varietà di contenuti che si adattino alle preferenze dei tuoi follower ideali. Questa diversificazione ti aiuterà a mantenere l’interesse del tuo pubblico arrivando alle persone giuste da strade differenti. Come per tutte le cose, la pianificazione e la costanza possono fare la differenza, perciò dovresti pianificare una frequenza regolare di pubblicazione dei tuoi contenuti per mantenere costante la tua presenza su LinkedIn. Infine, non dimenticare l’importanza del cosiddetto ascolto attivo: monitora i commenti, tieni sotto controllo le interazioni e i feedback dei tuoi follower, in modo che tu possa rispondere prontamente alle domande, partecipare alle discussioni e dimostrare interesse per le opinioni dei tuoi follower.

Utilizzare la gamification per coinvolgere le persone giuste

La gamification, mutuando alcune delle logiche che stanno dietro alla “teoria dei giochi”, è una strategia di marketing che si pone l’obiettivo di coinvolgere e motivare le persone a eseguire azioni specifiche. Questa strategia può essere applicata su LinkedIn per aumentare e mantenere i tuoi follower. Ricorda però che l’obiettivo non è quello di aumentare i follower tout cour, ma è invece quello di puntare a far crescere la base di persone che ti seguono in modo che queste siano in linea con le caratteristiche che abbiamo individuato prima.

Vediamo di seguito alcune tecniche di gamification che potresti utilizzare:

1. Contenuti interattivi: Sfida i tuoi follower a rispondere a domande o a partecipare a sondaggi relativi al tuo settore. Potresti anche organizzare concorsi o giochi a premi per incoraggiare l’interazione e la partecipazione attiva. Concentrati su domande e argomenti che necessitino una solida competenza professionale difficilmente raggiungibile con una semplice ricerca su internet. In questo modo daresti la possibilità di provare ancora più soddisfazione a coloro che sapessero rispondere in maniera corretta, proprio come vuole la teoria dei giochi.

2. Coinvolgimento emozionale: Condividi storie di successo, esperienze personali o sfide professionali che possano toccare le emozioni dei tuoi follower. Questo stimolerà l’empatia e la connessione con il tuo pubblico, specialmente se saprai rivelare come le tue debolezze e insicurezze iniziali siano state il carburante per impegnarti con determinazione e raggiungere il risultato professionale che stai condividendo.

3. Badge e ricompense: Premia i tuoi follower più attivi o quelli che raggiungono determinati obiettivi con badge o riconoscimenti speciali. Non devi mettere in piedi chissà quali piattaforme: anche un post taggandoli con hashtag dedicato e creato per l’occasione può essere uno stimolo sufficiente. Questo farà da sprone per una competizione amichevole e incoraggerà l’impegno continuo. La gamification insegna che vedere riconosciuto e premiato il proprio sforzo, sia uno dei più grandi stimoli per l’essere umano, non solo per intraprendere un’azione iniziale ma anche per continuarla nel futuro.

4. Networking virtuale: Organizza eventi online, webinar o sessioni di mentoring per i tuoi follower. Queste occasioni offrono la possibilità di connettersi e interagire con persone influenti nel tuo settore. Se è vero che avere risposte o like ai propri commenti è già una grande gratificazione, poter interagire in diretta con le persone che seguiamo e avere un feedback immediato per i nostri commenti è ancora più gradevole: per questo nei tuoi eventi dal vivo ricordarti di dare il giusto spazio alle interazioni con i tuoi follower che vorranno dedicare il loro tempo ad ascoltarti e vederti “live”.

Abbiamo visto che la gamification su LinkedIn può essere un’efficace strategia per coinvolgere le persone giuste e costruire relazioni significative. Se ti concenti sulla qualità dei tuoi follower anziché sulla quantità otterrai un valore duraturo per la tua rete professionale. Inoltre, utilizzando strategie di gamification come contenuti interattivi, coinvolgimento emozionale, badge, ricompense e networking virtuale, potrai attrarre e coinvolgere persone che condividono i tuoi interessi e i tuoi obiettivi. Ricorda che LinkedIn è una piattaforma basata sul networking e sulle relazioni, quindi puntare sulla qualità delle connessioni è fondamentale per massimizzare le opportunità di crescita e sopratutto il successo professionale. La personalizzazione dei tuoi contenuti, unita a una solida strategia, sarà fondamentale per coinvolgere le persone giuste e creare una presenza significativa su LinkedIn, in modo da trarre il massimo vantaggio per il tuo business.

Growth hacking: come crescere velocemente col minimo sforzo economico

Growth hacking: come crescere velocemente col minimo sforzo economico 1920 1280 AlbertoFalchi

Il mondo del marketing, negli ultimi anni, ha visto crescere la popolarità di due strategie in grado di stimolare la partecipazione attiva degli utenti in maniera divertente oltre che utile: stiamo parlando di “gamification” e “growth hacking”, approcci capaci di far crescere esponenzialmente gli utilizzatori di prodotti e servizi. Oramai dovresti avere un po’ di confidenza con la gamification e sapere che stiamo parlando di una strategia in grado di far aumentare l’engagement incentivando le persone a effettuare determinate azioni per raggiungere obiettivi specifici. Il cuore della gamification è la sua capacità di rendere l’esperienza stessa gratificante, grazie soprattutto all’utilizzo di elementi ludici mutuati dalla “teoria dei giochi”, come ad esempio punteggi, classifiche, premi e badge.

Growth hacking per crescere velocemente

Growth hacking

Ma il growth hacking, esattamente cos’è? Non esiste una definizione univoca, riconosciuta a livello mondiale, e per alcuni il growth hacking va oltre la job position, diventando quasi una filosofia di vita, un approccio mentale che vuole ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo (economico, ma non solo) possibile. Andando alle origini, vediamo che il concetto di growth hacking è stato introdotto per la prima volta nel 2010 da Sean Ellis, imprenditore e consulente di marketing americano, quando definì il growth hacker come “una persona che ha come obiettivo la crescita“. Scendendo un po’ più nel concreto potremmo dire che il growth hacking sia una strategia di marketing che ha lo scopo di far crescere l’azienda attraverso sia l’acquisizione di nuovi clienti sia la fidelizzazione di quelli esistenti. Il growth hacking non si limita a trovare “scorciatoie sulla via del successo”: è una strategia che richiede tempo, attenzione ed esperimenti. Il suo approccio è totalmente data-driven, ovvero basato sulla raccolta e sull’analisi di dati oggettivi necessari per identificare le opportunità di crescita più efficaci. Il growth hacking richiede che si conducano regolarmente esperimenti, come ad esempio i test comparativi A/B, per poter scegliere con un buon margine di certezza, quali siano le idee migliori e quali siano quelle che da modificare o abbandonare. Utilizzando principalmente strumenti online, come social media, content marketing, SEO e pubblicità online, la strategia del growth hacking si concentra sulla generazione di un grande volume di clienti in un breve periodo di tempo, usando canali pubblicitari a basso costo se non addirittura gratuiti.

Il successo di Dropbox

Un ottimo esempio di come la gamification possa essere utilizzata con efficacia nel growth hacking è rappresentato da Dropbox. L’azienda, che oggi conta più di 700 milioni di utenti, è riuscita a crescere con una tale velocità da diventare in pochissimi anni uno dei servizi di cloud storage più utilizzati al mondo. Ma come ha fatto a raggiungere un risultato così impressionante senza spendere una fortuna? La risposta si trova nel modo in cui Dropbox ha saputo utilizzare gli incentivi tipici della gamification, per far crescere costantemente la sua base utenti. Grazie a un processo di onboarding coinvolgente durante la fase di registrazione, capace di guidare i nuovi utenti attraverso le funzionalità e i vantaggi del prodotto, Dropbox ha saputo ottenere il massimo da questo primo passaggio obbligato. Il metodo seguito consisteva, e consiste tuttora, in una serie di semplici step specifici, come ad esempio l’installazione dell’app desktop, il caricamento di un file e la condivisione di una cartella: questi passaggi necessari per il primo utilizzo, oltre a educare gli utenti su come utilizzare efficacemente il servizio, creavano un senso di progresso e realizzazione: esattamente quello che abbiamo visto essere uno dei punti cardine della gamification, che vede il superamento delle prove come un elemento indispensabile per raggiungere la “soddisfazione” di essere arrivati a un livello superiore. Nel caso di Dropbox questo livello era, ed è, la capacità di saper utilizzare subito il servizio di condivisione file tanto agognato.

Regalare spazio di archiviazione gratuito a chi introduceva un amico è stata l'intuizione che ha permesso a Dropbox di espandere enormemente la sua base di utenti in pochissimo tempo


Il vero asso nella manica che ha condotto Dropbox nell’olimpo del cloud storage, però, è stato il suo efficacissimo programma di referral marketing. Dropbox, infatti, suggeriva ai nuovi utenti di invitare i loro amici a utilizzare il servizio, e per spronarli offriva loro in cambio uno spazio di archiviazione aggiuntivo e gratuito: fu proprio questa situazione vantaggiosa per tutte le parti coinvolte, a essere stato il volano che in brevissimo tempo, ha portato un numero sempre maggiore di utenti a usare Dropbox.

Growth hacking e gamification su Linkedin

E per quanto riguarda LinkedIn? Su LinkedIn, poi usare il growth hacking e la gamification per aumentare le connessioni, i follower e le interazioni. La piattaforma offre infatti diversi servizi adatti a essere implementati all’interno delle strategie di gamification e growth hacking.
InMail: è una funzione di LinkedIn che ti consente di inviare messaggi diretti ad altri membri anche se non sono presenti nei tuoi collegamenti. Potresti utilizzare questa funzionalità per raggiungere nuovi contatti e generare nuove connessioni. Tuttavia, per utilizzare InMail in modo efficace, è importante che personalizzi il messaggio per creare un legame realmente utile per entrambi.
Ricerca avanzata: con questo strumento puoi filtrare i risultati della ricerca secondo diversi criteri, ad esempio il titolo professionale, la posizione geografica e le competenze. Puoi utilizzare questa funzionalità per trovare potenziali contatti che corrispondono ai criteri che preferisci e, una volta identificati, potresti raggiungerli direttamente utilizzando InMail per generare una proficua connessione.
LinkedIn Groups: questo servizio ti consente di unirti a gruppi di discussione basati su interessi comuni. Grazie ai gruppi puoi connetterti con facilità a persone professionalmente a te affini, allargando con facilità e velocità la tua rete professionale. Inoltre nei gruppi puoi trovare informazioni utili e promuovere il tuo brand o la tua attività.
LinkedIn Ads: è una piattaforma pubblicitaria che ti consente di creare annunci mirati e poter raggiungere così il tuo pubblico target presente sul social network. Anche questa funzionalità si integra perfettamente con quelle appena citate, in modo da aumentare la tua visibilità professionale e far crescere le tue opportunità di business.


Possiamo insomma dire che il binomio impegno/ricompensa tipico della gamification, può generare risultati davvero notevoli e quantificabili in termini di numeri, proprio come vuole il growth hacking: lo ha dimostrato in maniera esemplare la crescita esponenziale che ha caratterizzato l’arrivo sul mercato di Dropbox. In questo contesto è evidente come LinkedIn sia una piattaforma ideale per applicare le strategie di gamification e growth hacking, perché oltre agli strumenti che mette a disposizione, i suoi utenti sono spesso, se non sempre, alla ricerca di nuove opportunità di carriera e di crescita professionale.

La gamification di LinkedIn: ecco come il social per professionisti stimola l’engagement

La gamification di LinkedIn: ecco come il social per professionisti stimola l’engagement 700 467 AlbertoFalchi

Negli ultimi anni, la gamification ha guadagnato sempre più popolarità come strategia efficace per aumentare l’engagement degli utenti e migliorare l’esperienza in diverse piattaforme online, compresi i social media per professionisti come LinkedIn.

Mutuando elementi della teoria dei giochi e utilizzandoli in contesti non ludici, LinkedIn ha saputo sfruttare la gamification in modo davvero efficace. Tieni presente che la gamification non è un “gioco” come comunemente inteso: è possibile, infattim che tu stia già provando in modo inconsapevole gli effetti della gamification su LinkedIn senza accorgertene, perché la sua forza sta proprio nel riuscire a stimolare le reazioni psicologiche che si attiverebbero normalmente quando stai giocando, senza però farti entrare consciamente nella modalità di “giocatore”. Ma quindi LinkedIn esattamente, in che modo impiega la gamification all’interno della piattaforma? Ecco di seguito qualche esempio di applicazione che magari già conosci, ma che non avevi ancora collegato alla gamification su LinkedIn.

Punteggio di Social Selling

Il social selling è una tecnica di vendita che sfrutta i social network per raggiungere i propri clienti e interagire con loro in modo più efficace. LinkedIn a riguardo, offre un punteggio di Social Selling agli utenti basato su diverse metriche, come la qualità delle connessioni, l’attività di condivisione e l’interazione con i contenuti. Questo punteggio fornisce un feedback tangibile sull’effettiva capacità dell’utente di utilizzare LinkedIn come strumento di social selling efficace.

Linkedin Social Selling Index

Gli utenti, quindi, sono spronati a migliorare il proprio Social Selling Index (SSI) anche grazie allo stimolo psicologico determinato dalle variazioni percentuali, rispetto alla settimana precedente, visibili nella pagina dedicata al Social Selling Index.

Il punteggio SSI tiene conto di quattro elementi principali:

1.           La creazione del brand professionale

2.           Saper trovare le persone giuste

3.           Integrare con informazioni rilevanti

4.           Costruire rapporti

Con questo sistema di gamification su LinkedIn, viene incentivata la partecipazione attiva alla piattaforma, condividendo contenuti di valore e interagendo con gli altri utenti.

Endorsment e referenze

Un altro esempio di gamification è rappresentato dal sistema di endorsement di LinkedIn. Gli utenti possono “approvare” le competenze dei propri contatti, guadagnando punti e aumentando il proprio livello di “influenza” sulla piattaforma. Dopo aver aggiunto le tue competenze al profilo, queste possono essere convalidate dai tuoi collegamenti di primo grado: quando uno di questi conferma una o più tue competenze, contribuisce dare peso e rilevanza al tuo profilo facendo aumentare automaticamente le probabilità che tu possa essere trovato proprio grazie alle competenze che ti sono state confermate.

Creator mode

Linkedin Creator Mode

L’introduzione da parte di LinkedIn della funzione “Creator Mode” ovvero la “Modalità di creazione dei contenuti” ti permette di creare contenuti con maggior facilità e ti consente di aumentarne la visibilità sulla piattaforma. Quando attivi la modalità Creator, il tuo profilo viene ottimizzato per mettere in evidenza i tuoi contenuti incoraggiando al tempo stesso gli altri utenti a seguirti. Ad esempio, il pulsante “Connetti” viene sostituito dal pulsante “Segui” e i tuoi post vengono visualizzati nella parte superiore del tuo profilo. Inoltre, se soddisfi tutti i criteri, potrai avere l’accesso agli strumenti per la creazione di ulteriori contenuti come LinkedIn Live e Newsletter. I criteri necessari per accedervi includono, una base di pubblico di oltre 150 follower o connessioni, condivisioni recenti su LinkedIn di qualsiasi tipo di contenuto originale e una buona reputazione, ovviamente, sempre su LinkedIn. Questa modifica del profilo operata dalla Creator Mode e i requisiti necessari per poter accedere agli altri contenuti su LinkedIn, si integrano perfettamente nelle dinamiche di gamification inerenti il superamento delle sfide e il raggiungimento dei livelli successivi.

Sfide di apprendimento

Linkedin Learning

LinkedIn offre anche sfide di apprendimento, che sono attività e obiettivi specifici che gli utenti possono completare per migliorare le proprie competenze professionali all’interno di LinkedIn Learning. Ad esempio, un utente potrebbe essere sfidato a completare un corso di formazione su una determinata area o potrebbe essere sfidato a ottenere un certo numero di endorsement per una competenza specifica. Una volta che l’utente avesse superato con successo la sfida, riceverebbe una ricompensa, come un badge o una menzione di riconoscimento sul proprio profilo. Questo tipo di gamification promuove attivamente l’apprendimento continuo e l’acquisizione di nuove competenze tra gli utenti di LinkedIn.

Profilo completato al 100%

Uno dei primi esempi di gamification su LinkedIn è rappresentato dal sistema di progressione del profilo. Man mano che gli utenti compilano sezioni del loro profilo, come l’istruzione e le esperienze lavorative, la barra di progresso si riempie. Sotto la barra, inoltre, ci sono sempre dei consigli che suggeriscono quali sono le azioni da intraprendere per migliorare l’efficacia del tuo profilo. Gli utenti possono completare il proprio profilo al 100% e guadagnare un badge che attesti il loro livello di completezza. In questo modo, LinkedIn incentiva gli utenti a fornire informazioni dettagliate sul proprio profilo e a utilizzare la piattaforma in modo più completo. Sfruttando la gamification, LinkedIn è riuscito a migliorare del 20% il tasso di completamento del profilo. Questa meccanica di gioco sfrutta il desiderio innato degli utenti di raggiungere obiettivi e di essere premiati per il loro impegno. Completare il proprio profilo offre vantaggi in termini di maggiore visibilità e una valutazione più elevata da parte degli algoritmi di ricerca di LinkedIn.

Badge di esperto

Tramite la funzionalità “Valutazione delle competenze” LinkedIn ti offre la possibilità di mettere in risalto la tua conoscenza in determinati ambiti professionali tramite lo svolgimento di test specifici. Una serie di domande a tempo cui dare risposta in un’unica sessione, mira a verificare la tua competenza nel settore scelto: se superi il test, LinkedIn ti assegnerà un badge di esperto che sarà visualizzato sul tuo profilo, in modo da avere un riconoscimento immediatamente visibile per tutti colori che vorranno sapere qualcosa in più su di te e sulla tua preparazione professionale.

Come vedi, la gamification su LinkedIn è stata integrata all’interno di diversi ambienti e con diverse funzionalità, il tutto in maniera abbastanza semplice e sottile, proprio come vogliono i principi della teoria dei giochi su cui si basa. Nello specifico abbiamo visto che gli scopi della gamification su LinkedIn sono quelli di migliorare l’esperienza degli utenti, promuovere l’attività sulla piattaforma, aumentare l’engagement e incentivare l’apprendimento continuo, in modo da costruire una comunità di professionisti sempre più capace e desiderosa di migliorarsi, sia attraverso la collaborazione, sia attraverso un sano e costruttivo confronto professionale.

Gamification: come sfruttare la ludicizzazione per migliorare l’engagement su LinkedIn

Gamification: come sfruttare la ludicizzazione per migliorare l’engagement su LinkedIn 1024 662 AlbertoFalchi

Giocare è uno dei primissimi meccanismi applicati dall’essere umano per rapportarsi col mondo esterno. Il raggiungimento di un obiettivo divertendosi infatti, è uno dei sistemi più efficaci per stimolare l’azione. Pensa a una semplicissima partita di calcetto al parco: è sufficiente una palla per attirare subito diversi giocatori pronti a impegnarsi con tutta l’anima pur di fare gol e divertirsi. La competitività innata nell’essere umano, il senso di soddisfazione derivante dal riuscire a vincere e migliorare la propria posizione di partenza, sono il motore che sta alla base delle dinamiche che rendono il gioco, specialmente nei bambini, necessario oltre che divertente. Sviluppata durante gli anni ’40 del secolo scorso dal matematico John von Neumann, la teoria dei giochi ha fornito alcuni elementi fondamentali per la gamification (ludicizzazione in italiano) come, ad esempio, la possibilità di guadagnare punti, raggiungere livelli, ottenere ricompense e infine esibire distintivi (badge).

Negli ultimi anni, la gamification ha guadagnato una popolarità sempre maggiore nell’ambito della fidelizzazione dei clienti, specialmente per quanto riguarda il marketing digitale.

Il suo scopo è proprio quello di usare le dinamiche della “teoria dei giochi“ per trasformare attività non ludiche in un’attività coinvolgente e divertente per gli utenti, con l’obiettivo di motivare questi ultimi a investire il proprio tempo per raggiungere determinati risultati.

La gamification nel marketing

Tutto questo però non è una novità, perché il meccanismo della gamification è applicato in molti business già da diverso tempo, basti pensare alla banalissima raccolta punti quando vai a fare la spesa al supermercato. Come puoi immaginare, queste tecniche sono impiegabili per migliorare molti degli aspetti fondamentali del tuo business, come ad esempio la gestione clienti e la fedeltà al brand di partner e dipendenti.

LinkedIn Gamification

LinkedIn e gamification

Adoperata di default anche da LinkedIn come strumento per motivare gli utenti nel completamento del loro profilo, la gamification entra subito in gioco quando un nuovo utente si iscrive e inizia a inserire le sue informazioni. In quel momento appare infatti il “misuratore di livello del profilo”, ovvero una barra di avanzamento che, crescendo di pari passo con l’inserimento dei dati, indica l’efficacia e la completezza del profilo stesso. In questo modo, LinkedIn, utilizzando la gamification, riesce a coinvolgere gli utenti invogliandoli a completare il profilo: lo stimolo derivante dal voler vedere il misuratore del livello del profilo completo, funge da sprone per portare a termine tutti i passaggi richiesti e completare le sezioni mancanti. Ma non solo, anche altri fattori come la conferma delle competenze, le raccomandazioni dei post e il numero di visualizzazioni del profilo (solo per dirne alcuni) si inseriscono nel processo di gamification: i risultati sono la fonte di soddisfazione che spingerà gli utenti a procedere con più determinazione nell’uso approfondito del social network.

Gamification ed engagement per la tua azienda

Gli scopi che devi tenere a mente per impiegare al meglio le tecniche di gamification nel profilo della tua azienda su LinkedIn, sono:

  • migliorare l’engagement
  •  raggiungere un pubblico sempre più vasto e
  • avere maggiori possibilità di ottenere lead qualificati capaci di creare nuove relazioni lavorative di valore

Se avrai ben chiaro quali sono i tuoi obiettivi, avrai anche ottime probabilità di poterli raggiungere tramite la LinkedIn gamification.

Premi e divertimento

cosa potresti fare concretamente per impiegare la gamification su LinkedIn? Sicuramente dovresti pensare a dei premi: ad esempio la creazione di badge personalizzati sarebbe un’ottima soluzione vista la possibilità offerta da LinkedIn, di poterli inserire all’interno del profilo. Potresti inoltre dare agli utenti che riuscissero a meritarselo, un riconoscimento pubblico, magari creando una sezione dedicata all’interno del tuo sito o scrivendo dei post da far condividere ai tuoi utenti. Ma non solo badge: potresti infatti pensare anche a prodotti o servizi specifici offerti dalla tua azienda.

Gamification

Di seguito una serie di suggerimenti da adottare per aumentare l’engagement della tua pagina aziendale grazie alla LinkedIn gamification:

  • Classifiche: potresti creare una classifica dei follower più attivi sul profilo LinkedIn della tua azienda e premiare coloro che raggiungono le prime posizioni.
  • Sfide: potresti lanciare una sfida ai tuoi follower su LinkedIn, ad esempio chiedendo loro di condividere un post della tua azienda con il maggior numero di contatti possibile. L’utente che dovesse raggiungere il maggior numero di condivisioni riceverebbe uno dei premi che hai deciso in precedenza.
  • Quiz: potresti creare un quiz che metta alla prova le conoscenze dei tuoi follower sui tuoi prodotti o servizi: coloro che riuscissero a risolverlo potrebbero ricevere uno dei tuoi premi.
  • Giochi di ruolo: potresti creare un gioco di ruolo in cui accadono situazioni verosimili benché straordinarie, collegate ai tuoi servizi o ai tuoi prodotti: i partecipanti potrebbero indicare le loro mosse per riuscire a venire a capo del problema. Lo scopo sarebbe di mero intrattenimento manterrebbe comunque il focus sulla tua azienda.

Quando parliamo di gioco il limite è solo la fantasia: una volta che avrai ben chiaro qual’è il risultato che vuoi raggiungere, potrai usare tutti gli strumenti messi a disposizione da LinkedIn per migliorare l’engagement del tuo profilo.

Conclusioni

Ti ho spiegato come la gamification su LinkedIn sia una strategia efficace per migliorare l’engagement coi tuoi follower per far nascere maggiori possibilità di business aumentando il coinvolgimento con il tuo profilo aziendale. Adattando alcuni elementi mutuati dalla teoria dei giochi (accumulare punti, raggiungere livelli, ottenere ricompense ed esibire badge), le aziende, come LinkedIn stessa, impiegano la gamification per consolidare e accrescere i rapporti con i propri follower. Quindi, grazie alla teoria dei giochi e impiegando maniera coerente col tuo business questi consigli sulla gamification, potrai creare un sistema divertente e coinvolgente che aiuterà la tua azienda a distinguersi dalla concorrenza e a far crescere il tuo business.

Employer branding fatto bene: il caso Microsoft

Employer branding fatto bene: il caso Microsoft 1920 1080 AlbertoFalchi

In un mercato altamente competitivo, le aziende si stanno concentrando sempre più sulla creazione di un ambiente positivo e gratificante per i propri dipendenti, in modo da creare, come datore di lavoro, un’immagine positiva e di successo, al fine di attirare le migliori risorse umane disponibili. Ma come farlo? Fra gli esempi di strategie employer branding di successo adottato da alcune delle principali aziende del settore tech spicca il caso Microsoft.

Il caso Microsoft: tutto parte dalla mission

Microsoft, che ha acquisito LinkedIn per 26 miliardi di dollari nel 2016, è oggi una delle aziende più importanti  a livello mondiale, con un fatturato annuo, nel 2022, di oltre 52 miliardi di dollari. La sua dimensione però non è l’unico fattore a farne una delle aziende più attraenti al mondo per i dipendenti: la strategia di employer branding attuata da Microsoft è stata fondamentale per la crescita e il successo dell’azienda stessa e rappresenta un interessante case study per conoscere da vicino le tecniche applicate dall’azienda.

La storia di successo di Microsoft inizia con la sua mission: “empower every person and every organization on the planet to achieve more” che si può tradurre come “consentire a ogni persona e a ogni organizzazione del pianeta di ottenere di più”. Questo motto è stato coerentemente applicato anche all’interno della strategia di employer branding. Microsoft si è impegnata infatti a creare un ambiente di lavoro inclusivo e diversificato, in cui ogni dipendente abbia la possibilità di crescere professionalmente e di esprimere il suo potenziale.

La cultura dell’innovazione è uno dei pilastri su cui si fonda la stratgia di employer branding sviluppata da Microsoft. Promuovendo l’innovazione in tutti gli aspetti del lavoro e incoraggiando i dipendenti a pensare fuori dagli schemi, Microsoft è arrivata a sviluppare progetti in grado di aumentare la sua appetibilità come posto in cui andare a lavorare. Un esempio concreto è il Microsoft Garage Hackathon, un programma incentrato sull’innovazione che coinvolge dipendenti da tutto il mondo, con lo scopo di favorire l’ideazione di nuove soluzioni e prodotti innovativi. L’obiettivo principale dell’hackathon è quello di trovare “la prossima cosa di cui non si potrà più fare a meno“.  In sostanza lo scopo è attrarre persone appassionate di tecnologia che vogliono fare la differenza, curiose e desiderose di imparare attraverso l’esperienza pratica, indipendentemente dal successo o dal fallimento. Dal punto di vista della strategia di employer branding, gli obiettivi del Garage sono la promozione di una mentalità di crescita, l’attenzione verso il cliente, la diversità, l’unità aziendale e la voglia di fare la differenza. Il Garage, oltra a offrire spazi per la creazione di progetti e per la sperimentazione tecnologica, organizza eventi, workshop e hackathon per i dipendenti di Microsoft sparsi in tutto il mondo. Il Garage coinvolge più di 70.000 persone e offre l’opportunità di creare team specializzati  per portare avanti le idee più innovative. La valutazione dei singoli progetti è basata sul loro potenziale di brevetto, di fattibilità e di allineamento agli obiettivi aziendali.

Sul podio mondiale

Anche per questo, Microsoft è stata riconosciuta, a livello globale, come una delle migliori aziende in cui lavorare. Nel 2023, infatti, si è classificata al terzo posto nell’annuale lista delle “World’s Most Admired Companies” stilata dalla rivista americana Fortune.

Questa politica di innovazione, ha portato Microsoft a investire costantemente nella formazione e nello sviluppo dei dipendenti, per consentire loro di crescere professionalmente in modo significativo. Il lavoro fatto, in termini di attrattiva da parte dei potenziali dipendenti, ha indubbiamente dato i suoi frutti: la strategia di employer branding di Microsoft si è dimostrata essere altamente efficace e ha creato un’immagine positiva come datore di lavoro attraente e di successo.

La presenza online

Secondo il vice presidente corporativo Chuck Edward, il successo di Microsoft è dovuto alla capacità dell’azienda di combinare l’energia tipica di una startup, con la possibilità di portare idee e innovazioni sul palcoscenico globale, caratteristica propria delle aziende multinazionali. Secondo Edward, il segreto sta sia nel riuscire a mantenere un’affermata competitività, sia nel riuscire a portare avanti costantemente la ricerca e l’innovazione.

Per il CEO di Microsoft, Satya Nadella, un elemento chiave del successo aziendale è da cercare nell’applicazione della filosofia del “mobile-first and cloud-first world” in tutti i suoi settori, compreso l’employer branding. Un fattore fondamentale nella strategia attuata da Microsoft è proprio la marcata presenza online dell’azienda. Grazie all’utilizzo dei social media, dei blog e di tutti gli altri canali online a disposizione, Microsoft è riuscita a creare un sistema potente ed efficace per dare informazioni sulle opportunità e sui vantaggi offerti a tutti i dipendenti.

La persona è al centro di tutto

Anche in questo caso, quindi, la centralità dell’individuo e la creazione di una forte cultura aziendale, si sono concretizzate in azioni che sono state in grado di trasformare Microsoft in un’azienda capace di attrarre i migliori talenti del settore presenti sul mercato.

Per rendere ancora più umano il processo di conoscenza e trasparenza dell’azienda per i potenziali dipendenti, Microsoft ha creato anche un portale dedicato ai dipendenti, chiamato Microsoft Life, il cui scopo è ben rappresentato dalle parole che troviamo in prima pagina “We’re the #PeopleOfMicrosoft—employees representing communities and cultures of the world, coming together to help others achieve more. That’s our Microsoft Life, and these are our stories” (“Siamo #PeopleOfMicrosoft, dipendenti che rappresentano le comunità e le culture del mondo che si uniscono per aiutare gli altri a ottenere di più. Questa è la nostra “Microsoft Life” e queste sono le nostre storie”). Il portale fornisce informazioni su tutti gli aspetti della vita aziendale, dalla formazione alla salute, e lo fa in maniera coerente con la strategia di employer branding, ovvero tramite il racconto diretto dei suoi dipendenti.

Perfettamente in linea con tutta la politica aziendale, Microsoft si impegna a fornire ai propri dipendenti una vasta gamma di benefici e opportunità, tra cui un’ampia scelta di piani di assicurazione sanitaria, programmi di sviluppo professionale, formazione continua e ultimo, ma non per merito, un generoso piano di congedo parentale.

Microsoft fornisce un ottimo esempio di quanto sia importante un’efficace strategia di employer branding, specialmente per le aziende seriamente intenzionate a investire risorse in questo settore. Grazie alla sua politica basata sul valore dei propri dipendenti, sulla presenza online e sulla responsabilità sociale, Microsoft è riuscita a migliorare la propria reputazione come datore di lavoro e a diventare, a livello globale, una delle migliori aziende in cui lavorare.

Employer Branding su LinkedIn: come farlo bene

Employer Branding su LinkedIn: come farlo bene 2560 1709 AlbertoFalchi

Definisci la tua strategia 

Prima di iniziare a utilizzare LinkedIn per l’employer branding, devi avere chiara la strategia che vuoi seguire: chiediti cosa vuoi comunicare, a chi lo vuoi comunicare e come vuoi farlo. Ad esempio, se stai cercando di attrarre giovani talenti appena laureati, potresti volerto concentrare sulla cultura aziendale e sui benefici offerti ai dipendenti. Diversamente, se stai cercando di assumere professionisti esperti e qualificati, potresti sottolineare le opportunità di carriera e crescita professionale all’interno della tua azienda. “First things first”, dicono gli americani, quindi sicuramente il primo passo è stabilire un obiettivo e mantenere il focus su questo.

Crea una pagina aziendale

Per realizzare su LinkedIn una strategia di employer branding efficace, è indispensabile creare una pagina aziendale accattivante con una descrizione chiara e concisa della tua azienda, evidenziando la mission e mettendo in bella mostra tutte le informazioni riguardanti le opportunità di carriera disponibili. Potresti inoltre indicare i benefit aziendali per i dipendenti e le eventuali iniziative di responsabilità sociale. Infine ricordati di includere una foto di copertina e un logo aziendale di qualità, non solo per ragioni estetiche ma soprattutto, per rendere il tuo brand immediatamente riconoscibile.

Crea contenuti di valore

LinkedIn offre diverse opportunità per creare contenuti di valore per i tuoi follower. Ad esempio, potresti creare post che mostrino come è l’ambiente di lavoro nella tua azienda; pubblicare notizie pertinenti e interessanti per il tuo settore; condividere approfondimenti sui trend del mercato; raccontare storie di successo dei tuoi dipendenti. In questo modo, dimostreresti la tua esperienza nel settore dando risalto all’attenzione che dai alla tua azienda.

Interagisci con la tua audience

Per fare employer branding in modo efficace, è importante che tu interagisca con la tua audience. Rispondi ai commenti e alle domande, condividi i post dei tuoi follower, ringrazia per i feedback positivi e fai tesoro di eventuali feedback negativi. In questo modo, potrai creare un rapporto di fiducia con i tuoi follower e al contempo dimostrare che l’azienda è attenta alle loro esigenze e opinioni.

Coinvolgi i dipendenti

I dipendenti sono il principale asset di ogni azienda e sono pertanto uno dei fattori chiave per il successo della tua strategia di employer branding. Potresti quindi invitarli a seguire la pagina aziendale di LinkedIn e a condividere con i loro follower i contenuti che troveranno in quella. Infine potresti anche incoraggiarli a scrivere post che parlino della loro personale esperienza lavorativa all’interno dell’azienda, magari trovando soluzioni creative che li incentivino a condividere la loro storia.

Sfrutta il potere dei video

I video sono un ottimo modo per presentare la tua azienda e la cultura aziendale che ne sta alla base. Pertanto potresti creare video coinvolgenti che presentino la tua attività e, nello specifico, potresti farlo con interviste ai dipendenti, visite virtuali agli uffici e con simpatici video di “backstage” che rendano tutto più accogliente senza però mettere in discussione la professionalità aziendale. Assicurati infine che siano video di buona qualità ottimizzati per i social media.

Sfrutta la pubblicità

LinkedIn offre molte funzionalità utili per fare employer branding. Puoi infatti promuovere i tuoi post per incrementarne la visibiità, creare annunci di lavoro, attivare strategie di lead generation. Cerca di utilizzare le opzioni pubblicitarie che meglio si adattano ai tuoi obiettivi e al tuo segmento di pubblico per massimizzare in modo accurato il ROI (ritorno sull’investimento) delle tue campagne. Utilizzando queste funzionalità avrai ottime possibilità di raggiungere il pubblico giusto promuovendo la tua azienda come datore di lavoro.

Crea un piano editoriale ad hoc

per avere successo nell’employer branding su LinkedIn, è importante creare un piano editoriale specifico per il tuo obiettivo. Dovrebbe toccare diversi punti, come ad esempio le tematiche di maggiore interesse per il tuo pubblico di riferimento, la tipologia di contenuti da pubblicare e la frequenza di pubblicazione. Ricorda che LinkedIn è un social network professionale, quindi è importante scegliere con cura solo gli argomenti che possano essere utili e interessanti per la tua audience in modo da migliorare costantemente le tue strategie di employer branding. Potresti quindi parlare delle attività dell’azienda, degli eventi a cui partecipi, delle opportunità di carriera e delle tematiche legate al settore in cui operi.

Sii costante

Una delle chiavi per una strategia di successo è la costanza. Devi pubblicare regolarmente dei contenuti e interagire con la tua audience se vuoi vedere arrivare i risultati e se vuoi farli crescere. Ricorda che per fare questo, la presenza sui social network richiede tempo e dedizione, perciò è importante che ti organizzi per dedicare una parte della giornata alla gestione della pagina LinkedIn della tua azienda. In questo modo, potrai sia mantenere vivo l’interesse della tua audience, sia consolidare la tua presenza online, due fattori determinanti per l’employer branding.

Misura i risultati

Infine, è bene che misuri i risultati raggiunti. Per fare questo puoi utilizzare gli strumenti di analisi forniti da LinkedIn, ad esempio potresti voler monitorare l’engagement sui post, il numero di follower, i risultati delle campagne pubblicitarie, il numero di visualizzazioni dei tuoi post, i like ricevuti, i commenti e le condivisioni. In questo modo, potrai capire quali sono i contenuti che funzionano, e potrai apportare di conseguenza le modifiche adatte alla tua strategia di employer branding.

In conclusione, l’employer branding su LinkedIn può essere uno strumento davvero molto efficace per attrarre nuovi talenti e consolidare la reputazione della tua azienda. Ricorda che per avere successo, è fondamentale creare una strategia di comunicazione efficace, pubblicare contenuti di qualità e interagire con la tua audience in maniera adeguata. Come per la maggior parte delle attività, non occorre fare tutto in una sola volta: pianificando la tua strategia con cura e facendo un passo dopo l’altro, riuscirai a raggiungere tutti gli obiettivi che ti sei prefissato.

Definire i valori e l’identità dell’azienda: le basi dell’employer branding

Definire i valori e l’identità dell’azienda: le basi dell’employer branding 2560 1707 AlbertoFalchi

OK, hai deciso di voler far crescere la tua azienda e di assumere i migliori talenti che puoi trovare in giro. Mettiamo per semplicità che il budget non sia un problema e che puoi permetterti di investire il necessario in iniziative di employer branding, sia interno sia esterno, e che hai già trovato la persona che le seguirà. Sei insomma pronto per partire. Manca solo un dettaglio. Definire qual è il punto di forza della tua azienda. O, più banalmente, dare una risposta a una domanda solo in apparenza semplice: perché una persona dovrebbe venire a lavorare da me?

Employer Branding: il primo passo è individuare i tuoi punti di forza

Spesso mi capita di avere a che fare con imprenditori che vogliono attirare più talenti per far crescere la propria azienda e si lamentano della difficoltà di trovarli. Sicuramente non è facile oggi trovare persone preparate, soprattutto in ambiti molto specifici, dove le competenze scarseggiano e le aziende fanno a gara per coinvolgerli. La prima domanda che faccio a questi imprenditori è la seguente: “Cosa metti sul piatto?”. Nella maggior parte dei casi, la risposta è disarmante: “un contratto regolare, pagamenti puntuali e sono disposto a offrire uno stipendio anche superiore alla media di mercato”.

Questo è anche il motivo per cui faticano più di altri ad attirare le persone giuste. Un contratto regolare, con pagamenti sicuri alla fine del mese, non sono un plus, sono il minimo indispensabile. La paga superiore al mercato, di contro, può essere un plus, ma da sola non basta. Sono infatti finiti i tempi in cui il posto fisso era la massima aspirazione della maggior parte dei lavoratori. La pandemia ha cambiato la prospettiva, e ci vuole ben altro, come dimostra il fenomeno delle grandi dimissioni, che ha interessato figure a ogni livello dell’organizzazione, dai semplici impiegati agli ingegneri chiave. Oggi, soprattutto i più giovani, quelli della Generazione Z, cercano altro.

Le ambizioni della Gen Z (e non solo): la flessibilità

Flessibilità, valori, stimoli. Possiamo sintetizzare così i desideri delle nuove generazioni, ma anche di tanti Millenials e non solo. Flessibilità, intesa come la possibilità di fare smart working. E per smart working intendo quello vero, che non prevede la necessità di andare in ufficio in giorni prestabiliti. Lavorare due giorni alla settimana da casa non è smart working, è lavoro da remoto, e nemmeno a tempo pieno. E non attira più di tanto le persone, tanto che le aziende più illuminate, dopo aver inizialmente fatto simili proposte, hanno cambiato idea e hanno deciso di lasciare totale libertà ai propri dipendenti. Del resto, a meno che ti serva una persona allo sportello, cosa cambia se uno sviluppatore lavora da casa, da una nave da crociera, da una villa a Bali o saltando da un Paese all’altro ogni poche settimane? L’importante è che faccia bene il suo lavoro e molti talenti preferiscono fare i nomadi digitali, vivere in un perenne viaggio, senza però rinunciare a lavorare e senza arrangiarsi a cercare una nuova occupazione a ogni spostamento. Ovviamente, se vuoi portare a bordo figure tanto libere, devi ripensare l’organizzazione del lavoro, di tutti: il vero smart working ti impone di ripensare l’approccio. Di rinunciare a eventuali manie di controllo “di persona”: no, non potrai avere la soddisfazione di vedere i tuoi dipendenti chini tutte le 8 ore previste sulla scrivania. Non potrai sapere cosa stanno facendo. E, lasciatelo dire, non ti deve interessare. Ti cambia qualcosa se giocano a GTA, guardano una serie su Netflix o si fanno un bagno al mare, per lo meno sino a che raggiungono gli obiettivi concordati nei tempi previsti? Non deve mancare controllo, naturalmente, ma il controllo si deve spostare sul raggiungimento dei risultati, non su come li raggiungono e in quali orari sono davanti alla scrivania. Anche perché ti svelo un segreto: spesso, i dipendenti che vedi impegnati davanti allo schermo stanno facendo tutt’altro, e tirano fuori il foglio Excel solo quando passi alle loro spalle e puoi vedere il contenuto del loro display

Le ambizioni della Gen Z (e non solo): gli stimoli

Quando ti parlo di stimoli non mi riferisco solo a quelli economici, che sono sì importanti, ma non tanto quanto credi. Se vuoi portarti a casa un bravo sviluppatore non basta pagarlo più di quanto prende attualmente: devi convincerlo che lavorando con te potrà continuare a imparare nuove cose, lavorare su progetti complessi, sfidanti ma anche in grado di avere un impatto reale sulla vita delle persone. Aiutarle a risparmiare tempo, denaro o energia, o anche solo a vivere meglio. Questo può essere un esempio di stimolo, ma non è certo l’unico. Altri stimoli possono essere un ambiente di lavoro collaborativo e libero: Google, per esempio, inizialmente concedeva ai suoi sviluppatori 8 ore alla settimana da dedicare a progetti personali. Progetti che non dovevano necessariamente portare a risultati economici, né sul breve né sul lungo termine. Potevano tranquillamente essere fallimentari, e nessuno avrebbe avuto da dire. Inutile che ti dica che alcune delle migliori innovazioni di Google sono partite proprio da qui.

Un altro stimolo potrebbe essere ricercato nell’ambiente di lavoro. “Ma come? – dirai – mi hai appena detto che nessuno vuole più venire in ufficio”. In realtà non ho detto questo, ma che le persone cercano libertà. Anche di non venire in ufficio, se non quando proprio è necessario. Ma questo non significa che non devi avere una o più sedi fisiche. Tutt’altro: dovresti averne più di una, se le dimensioni della tua azienda te lo permettono, sparse geograficamente. Così, anche i nomadi se un giorno desiderano fare un salto in sede, potranno avere tutto quello che serve loro: caffè e snack, un ambiente dove scambiare opinioni, una sala riunioni ben attrezzata dove fare le videochiamate o le videoconferenze. Delle sale per incontrare partner e clienti. E perché no, delle zone relax, con biliardini, tavoli da tennis, videogiochi e non solo. Anche i nomadi digitali vorranno fare un giro in una simile sede, una volta ogni tanto.

Altri stimoli, infine, possono essere i benefit: vacanze aziendali, così da fare teambuilding, per esempio. Ma, forse ancora più importante, la dotazione: un computer e uno smartphone adeguati alle necessità; SIM gratuite per la connettività; display, auricolari o cuffie e webacam di ottimo livello, così da rendere più produttive le ore dedicate al lavoro.

Le ambizioni della Gen Z (e non solo): i valori

Puoi pagare tantissimo i tuoi dipendenti, ma ci sono aziende dove proprio non vorranno lavorare a nessun costo. In particolare, quelle che non si dimostrano inclusive o che fanno greenwashing, cioè promuovono iniziative sulla sostenibilità ambientale di facciata, non concrete. Ora, non ti dico che nella tua azienda devi mettere domani le quote rose o riempire i tetti delle tue sedi di impianti fotovoltaici, ma se non dimostri attenzione a questi temi, a partire dai tuoi annunci, non sarà facile attirare nuove figure di talento.
Se nell’annuncio specifichi che cerchi una segretaria per il dirigente, parti male. Così come se cerchi un maschio per il ruolo di dirigente. Inclusività naturalmente non significa dover cedere a tutte le mode del momento, incluse le più sgrammaticate: puoi evitare gli asterischi o lo scwha senza il rischio di essere considerato una persona terribile.

Conclusioni

Ti ho elencato quelle che oggi sono le caratteristiche che più attraggono i lavoratori. Non devi ovviamente averle tutte, sarebbe impossibile. Quello che vorrei trasmetterti con questo articolo è che prima ancora di fare employer branding, devi individuare quali sono i caratteri distintivi che puoi trasmettere dalla tua azienda e di come è lavorare al suo interno. Rispondere, insomma, alla domanda posta all’inizio: “Cosa metti sul piatto?”. Se non riesci a distinguerti, a trovare una caratteristica in grado di attrarre, prima di cercare talenti è meglio fermarti un momento e ragionare, insieme alla persone che già lavorano per te, su cosa vorrebbero. Cosa potrebbe renderli più felici e motivati. Se non ti concentri su questo, infatti, le tue attività di employer branding difficilmente avrebbero successo: sono le persone che lavorano con te i principali ambasciatori. E se non le soddisfi, il rischio non è quello di faticare a trovarne di nuove, ma di perdere le competenze che già hai in casa.  

Employer Branding: i KPI e le metriche per misurare il tuo successo

Employer Branding: i KPI e le metriche per misurare il tuo successo 1555 982 AlbertoFalchi

Quando si parla di business è fondamentale che i progressi siano misurabili in maniera chiara ed efficace. Questo vale anche per l’employer branding, benché faccia riferimento a una sfera di attività non immediatamente riconducibile ai numeri. Per misurare i progressi in questo ambito ci vengono in aiuto i KPI (Key Performance Indicators), ovvero gli indicatori chiave delle performance. Sviluppati negli anni ’90, come strumento per misurare il successo aziendale, analizzano i fattori chiave di aree specifiche per fornire un quadro delle prestazioni aziendali che influiscono sul successo dell’azienda. I KPI hanno l’obiettivo di identificare e monitorare i fattori chiave come la qualità del servizio, la soddisfazione del cliente, la produttività, l’efficienza e via dicendo. Per fortuna grazie alla rivoluzione digitale, è diventato sempre più facile raccogliere e analizzare i dati necessari per ottenere misure affidabili e basate sui dati.

Gli indicatori chiave di produttività sono indubbiamente un argomento molto vasto e sfaccettato, per questo occorre conoscerne le basi per poterne valutare l’impatto delle strategie di employer branding.

Esistono infatti sottocategorie di KPI specifiche che possono essere suddivise sia in base alla “quantità” sia in base alla “qualità”, a seconda che si basino su valori numerici oppure su valutazioni soggettive.

Le caratteristiche chiave dei KPI

Per essere efficaci, i Key Performance Indicators (KPI) devono avere le seguenti caratteristiche:

  • Misurabilità: devono essere facilmente misurabili e quantificabili numericamente
  • Specificità: devono essere specifici e riferirsi a obiettivi ben definiti
  • Obiettività: devono essere oggettivi e basati su dati certi
  • Temporalità: devono avere una cadenza temporale definita (giornaliera, settimanale ecc)
  • Rilevanza: devono essere pertinenti e rilevanti per gli obiettivi aziendali.
  • Affidabilità: devono fornire risultati coerenti e affidabili nel tempo.
  • Facilità d’uso: devono essere facilmente comprensibili e utilizzabili da tutti i dipendenti.

L’employer branding si riferisce all’immagine che un’azienda ha come datore di lavoro, cioè si riferisce alla percezione che gli attuali e potenziali dipendenti hanno sia del posto di lavoro sia della cultura aziendale. Non solo: le strategie di employer branding hanno come obiettivo principale la creazione di un’immagine positiva dell’azienda per attrarre i migliori talenti e aumentare la fidelizzazione di chi è già assunto.

Nello specifico, il cosiddetto employer branding interno, si concentra sul coinvolgimento e sulla motivazione degli attuali dipendenti attraverso un ambiente di lavoro positivo in cui le opportunità di crescita si uniscono a una comunicazione trasparente con i dipendenti. In questa specifica strategia di employer branding è perciò necessario scegliere i KPI adeguati e misurare le metriche appropriate in modo da identificare le opportunità di miglioramento e monitorare i progressi nel tempo. Per quanto riguarda l’employer branding interno, è bene tenere traccia delle iniziative e degli eventi aziendali che hanno lo scopo quello di migliorare la cultura aziendale e di rafforzare il legame tra i dipendenti e l’azienda. Le iniziative possono includere giornate di formazione, attività di gruppo, eventi sociali e altro ancora.

I KPI da tenere sotto controllo

Ma quindi quali KPI dovresti misurare? Per quanto riguarda l’employer branding ecco alcuni KPI che potresti voler misurare:

Tasso di assunzione: questa metrica misura il numero percentuale di candidati effettivamente assunti rispetto al numero totale dei candidati totali che hanno fatto richiesta di assunzione. Ma cosa ti significa esattamente questo valore in relazione al tuo employer branding? Se ad esempio avessi un tasso di assunzione elevato, allora significherebbe che l’azienda, agli occhi dei candidati, avrebbe un’immagine positiva e sarebbe percepita come posto di lavoro desiderabile che offre condizioni di lavoro attraenti con una cultura aziendale positiva.

Tasso di turnover: questa metrica indica, rispetto al totale dei dipendenti, la percentuale dei dipendenti che hanno lasciato l’azienda. È un valore che viene abbastanza comunemente preso in considerazione, sia dai dipendenti stessi sia dai clienti, specialmente se va a colpire i dipendenti a contatto con un pubblico più o meno abituale. Un tasso di turnover elevato quindi, sempre analizzato da un punto di vista di employer branding, indica sia una bassa fidelizzazione dei dipendenti sia una probabile miopia aziendale: nello specifico, per quanto riguarda la parte strettamente aziendale, potrebbe essere indice di incapacità, durante la fase di assunzione, nel riconoscere i candidati più adatti a svolgere la mansione, sia, una volta assunti, di valorizzare gli stessi all’interno del contesto aziendale. Appare qui evidente come le strategie di employer branding possano essere un valido aiuto per individuare problematiche a monte nell’organizzazione della tua azienda.

Tasso di partecipazione alle attività di team building: questo importante KPI valuta l’engagement e la motivazione dei dipendenti oltre che la loro capacità di lavorare in team e di costruire relazioni sociali interne positive. Può essere calcolato come rapporto tra il numero di dipendenti che hanno partecipato a una determinata attività di team building e il numero totale di dipendenti dell’azienda. Questo KPI è un importante indicatore del successo delle iniziative di employer branding interno dell’azienda, poiché la partecipazione è direttamente correlata all’engagement complessiva dei dipendenti. Un tasso di partecipazione alle attività di team building elevato elevato indica che i dipendenti sono motivati e coinvolti nell’azienda, mentre un tasso basso può essere indicatore di un ambiente lavorativo poco stimolante per la crescita personale e professionale dei dipendenti.

Traffico sul sito web dell’azienda: questa metrica comunemente usata per valutare l’efficacia delle strategie marketing, fornisce anche ottimi dati per valutare le strategie di employer branding. Misurando il numero di visite sul sito web dell’azienda, puoi valutare l’andamento del traffico come un andamento dell’interesse per l’azienda come datore di lavoro. Il traffico può essere misurato in molteplici modi, ad esempio tramite il numero di visite uniche al sito web, il tempo trascorso sul sito da parte degli utenti o il numero di pagine viste per sessione. Ovviamente, nel tuo caso non saranno le pagine relative a prodotti o servizi quelle da controllare, ma quelle della sezione dove indichi le posizioni aperte. Queste metriche possono aiutare a capire se le strategie di employer branding stanno attirando l’attenzione del pubblico giusto e se gli utenti stanno interagendo con il sito web in modo rilevante per il tuo obiettivo.

Le aziende che si avvalgono dei KPI per valutare la qualità del proprio employer branding sono davvero tante, vale la pena di ricordare Glassdoor, la piattaforma online che fornisce informazioni sulle aziende (anche grazie alle valutazioni anonime dei dipendenti) che ha fatto dell’employer branding e dell’uso dei KPI un punto di forza in grado di attirare l’attenzione sia di aziende sia di lavoratori. Si tratta prevalentemente di uno strumento di valutazione. Se invece sei alla ricerca di uno strumento per attivare e misurare le tue strategie di employer branding, c’è Link & Lead, una piattaforma per stimolare l’engagement dei tuoi dipendenti. Basata su un algoritmo proprietario, fa leva sul concetto di gamification per trasformare i tuoi collaboratori in brand ambassador.

In sintesi, i KPI sono strumenti preziosi per misurare il successo delle strategie di employer branding, specialmente nella nuova era post covid in quanto il tasso di abbandono del lavoro si è impennato vertiginosamente rispetto agli anni passati e il mismatch tra richiesta e offerta di lavoro sta segnando pesantemente la produttività in diversi settori dell’economia nostrana.

Employer Branding cosa è, a cosa serve e perché è importante per il tuo business

Employer Branding cosa è, a cosa serve e perché è importante per il tuo business 2560 1709 AlbertoFalchi

Il principale problema del mercato del lavoro? La difficoltà a trovare i talenti. Può sembrare strano questo dato considerato che in alcuni Paesi, fra cui l’Italia, è ancora elevato il tasso di disoccupazione, ma per le imprese è sempre più difficile trovare personale specializzato e competente in ambito STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Pochi i laureati così come i lavoratori che già possiedono queste competenze. E questi ultimi sono prevedibilmente molto contesi dalle aziende, che cercano di sottrarli alla concorrenza offrendo paghe migliori e ulteriori benefit.

Il quadro è complicato da un ulteriore parametro: oggi non basta più uno stipendio più elevato della media per convincere un talento a restare in azienda o a sottrarlo alla concorrenza. Bisogna offrire benefit e flessibilità, soprattutto sulle modalità di lavoro, consentendo a tutti di poter lavorare in maniera agile, anche da remoto. Ma c’è anche un altro aspetto: la cultura aziendale. Ci sono ambienti che sono considerati tossici dai lavoratori per vari motivi che possono spaziare da una scarsa cultura della collaborazione a un approccio troppo timido sulle politiche di decarbonizzazione o sull’inclusività in azienda. Sono questi parametri che spesso fanno la differenza, ancora più di una busta paga più generosa. Qui entra in gioco l’employer branding, quell’insieme di pratiche per mostrare ai potenziali lavoratori quanto sia attrattiva la propria azienda e allo stesso tempo per fidelizzare chi è già stato assunto e coinvolgerlo maggiormente.

FAANG, i maestri dell’employer branding

Quando si parla di FAANG si fa riferimento alle principali big tech in termini di fatturato: Facebook (oggi Meta), Amazon, Apple, Netflix e Google. Queste aziende sono in grado di attirare lavoratori come miele non solo perché sono considerate solide dal punto di vista economico ed estremamente innovative. A renderle dei magneti per chi cerca occupazione è l’immagine che sono riuscite a dare di sé: ambienti giovani, moderni, innovativi e stimolanti. Un’immagine che si sono costruite negli anni e che ha permesso loro sia di avere successo nei confronti del pubblico, sia di essere appetibili per i talenti. Pensaci un po’: quando Google parla dei suoi uffici, sottolinea sempre il clima, la presenza di ampie zone relax dove potersi sedere, rilassare, lavorare ma anche giocare. E dove potersi recare a qualsiasi ora del giorno e della notte, ricevendo pure pasti gratuiti. Chi non vorrebbe lavorare in un simile posto?

La strategia di Employer Branding di Microsoft: ecco come è passata da Evil Company a un luogo da sogno

Nonostante il suo enorme successo commerciale, Microsoft per anni non è stata mai vista di buon occhio da molti utenti che, pur utilizzando i suoi prodotti, hanno a lungo criticato le sue politiche molto aggressive, spesso sfociate in cause miliardarie contro l’Antitrust. Da quando Bill Gates ha lasciato l’incarico, però, il colosso di Redmond ha rivoluzionato il suo approccio, soprattutto internamente. Satya Nadella è riuscito a trasformare Microsoft non solo dal punto di vista del business, traghettandola con successo nel monto cloud, di cui oggi è fra i leader, ma anche rendendola “cool”, all’interno e all’esterno. Un esempio di grande successo di employer branding interno è la realizzazione della nuova sede di Milano. Nonostante quella precedente fosse bellissima e nuovissima, è stato scelto di cambiarla dopo pochi anni e portandola al centro della metropoli, nei pressi del Cimitero Monumentale, nonché vicino alle zone più trendy della città, come Corso Come (dove si trova anche Eataly) e la sempre più popolare via Paolo Sarpi, la Chinatown meneghina.

Al contrario della precedente sede, nella periferia, questa è comodamente raggiungibile dai mezzi pubblici, ma mantiene le caratteristiche che avevano guidato lo sviluppo dell’altra: assenza di postazioni fisse, aree relax. Ma soprattutto, un posto dinamico, che accoglie non solo i lavoratori, ma offre spazi aperti per il pubblico, dove si effettuano presentazioni di prodotti, workshop, conferenze stampa. Il bello è che i dipendenti non sono nemmeno obbligati ad andare in sede (e questo accade da prima della pandemia), e possono lavorare da ovunque. Quante persone costrette al vecchio mantra 9-18 farebbero cambio? Sicuramente tantissime, anche senza bisogno di incentivi economici. Anche solo per non sentirsi rimbrottati per un ritardo dovuto magari ai mezzi di trasporto pubblico.

Employer branding: anche i grandi sbagliano. Gli errori errore di Apple e Google

Apple è una delle aziende di maggiore successo al mondo e negli anni ha mostrato tanti alti e bassi, spesso legati proprio alle strategie di employer branding. Fu fondata da Jobs e Wozniak, ma il primo fu fatto fuori dopo alcuni anni dal management. E da lì è iniziato un grande declino. Anni dopo, la decisione di riprendersi Steve Jobs e nominarlo CEO ha dato i suoi frutti: l’azienda ha ripreso a correre, a guadagnare quote di mercato e ha stravolto il mondo tech con l’iPhone prima e l’iPad dopo. La sua sede a Cupertino è oggi una vera e propria mecca, e sono tanti gli appassionati che vanno a visitarla. Nonostante questo, Apple ha passato anche dei momenti difficili coi suoi dipendenti dopo la pandemia, quando ha chiesto loro di tornare in presenza. Cosa che non è piaciuta a chi ci lavorava dentro e in molti, anche fra le figure di spicco, hanno risposto con un secco no, sostenendo che se Apple non avesse cambiato idea, avrebbero cercato una nuova occupazione. Costringendo l’azienda a fare un passo indietro. Il fatto è che non si è trattata di una contrattazione privata: una simile notizia non poteva che rimbalzare su tutti i principali giornali a livello globale, fatto che ha un po’ annebbiato l’immagine luccicante che l’azienda della Mela dava di sé. Sia esternamente, sia internamente. E non sono mancati concorrenti che hanno cercato di farsi belli con l’errore, mostrando come loro – pur meno potenti e conosciuti – lasciavano ai loro dipendenti la libertà di scegliere da dove lavorare.

Employer branding: perché non puoi farne a meno

Oggi se hai un’impresa non puoi sottrarti dall’elaborare qualche strategia di employer branding. Sia per trovare nuove figure che ti permettano di crescere, sia per mantenere le figure chiave che già lavorano con te. Se anche non hai ambizioni di crescita, infatti, sai bene che sostituire un valido collaboratore è difficile e richiede tempo prima che sia formato a dovere e possa dare il meglio. Allo stesso tempo, perdere un dipendente è facilissimo, anche se non sempre tutti lo realizzano. È vero che per anni la filosofia italiana è stata un po’ all’antica, e chi trovava il “posto fisso” difficilmente lo lasciava. Ma le nuove generazioni hanno scardinato questa mentalità e sono disposti a rinunciare a soldi, e in parte anche alle passioni, se non trovano un ambiente a loro consono. Un esempio arriva dalla grande crisi della ristorazione: nonostante questo settore sia fra i più attivi e sia sempre più gli aspiranti chef, sono in tanti, anche fra gli stellati, a faticare a trovare nuove leve. Proprio perché ormai è chiaro che chi lavora in questo settore si troverà a fare sacrifici in un ambiente malsano, stressante, poco inclusivo e pure spesso malpagato. E se prima della pandemia la passione spingeva molti a continuare i sacrifici, con il ritorno alla normalità le persone hanno rivisto ambizioni e priorità. Non tutti i datori di lavoro, però, hanno ancora compreso questo cambiamento dal quale non si può tornare più indietro.

Fermati a riflettere

Ora che hai chiaro il concetto alla base dell’employer branding, ti consiglio di farti una domanda. Cosa posso fare per far sì che i miei collaboratori siano più felici (e produttivi?). E dopo questo, che immagine offro all’esterno? Se dovessi proporre una posizione, quanto sarebbe appetibile per un potenziale candidato? Le risposte non sono banali, naturalmente, e dipendono molto dal settore in cui operi (ovviamente se hai un punto vendita fisico, lo smart working è improponibile per i commessi, per fare un esempio), ma se fatichi a trovare persone, o noti un certo fuggi fuggi fra i tuoi assunti, vale sicuramente la pena di indagare le ragioni profonde, abbandonando quel vecchio modo di pensare che ti spinge a credere che l’entità della busta paga sia l’unica discriminante per un lavoratore.