Employer Branding

Employer branding fatto bene: il caso Microsoft

Employer branding fatto bene: il caso Microsoft 1920 1080 AlbertoFalchi

In un mercato altamente competitivo, le aziende si stanno concentrando sempre più sulla creazione di un ambiente positivo e gratificante per i propri dipendenti, in modo da creare, come datore di lavoro, un’immagine positiva e di successo, al fine di attirare le migliori risorse umane disponibili. Ma come farlo? Fra gli esempi di strategie employer branding di successo adottato da alcune delle principali aziende del settore tech spicca il caso Microsoft.

Il caso Microsoft: tutto parte dalla mission

Microsoft, che ha acquisito LinkedIn per 26 miliardi di dollari nel 2016, è oggi una delle aziende più importanti  a livello mondiale, con un fatturato annuo, nel 2022, di oltre 52 miliardi di dollari. La sua dimensione però non è l’unico fattore a farne una delle aziende più attraenti al mondo per i dipendenti: la strategia di employer branding attuata da Microsoft è stata fondamentale per la crescita e il successo dell’azienda stessa e rappresenta un interessante case study per conoscere da vicino le tecniche applicate dall’azienda.

La storia di successo di Microsoft inizia con la sua mission: “empower every person and every organization on the planet to achieve more” che si può tradurre come “consentire a ogni persona e a ogni organizzazione del pianeta di ottenere di più”. Questo motto è stato coerentemente applicato anche all’interno della strategia di employer branding. Microsoft si è impegnata infatti a creare un ambiente di lavoro inclusivo e diversificato, in cui ogni dipendente abbia la possibilità di crescere professionalmente e di esprimere il suo potenziale.

La cultura dell’innovazione è uno dei pilastri su cui si fonda la stratgia di employer branding sviluppata da Microsoft. Promuovendo l’innovazione in tutti gli aspetti del lavoro e incoraggiando i dipendenti a pensare fuori dagli schemi, Microsoft è arrivata a sviluppare progetti in grado di aumentare la sua appetibilità come posto in cui andare a lavorare. Un esempio concreto è il Microsoft Garage Hackathon, un programma incentrato sull’innovazione che coinvolge dipendenti da tutto il mondo, con lo scopo di favorire l’ideazione di nuove soluzioni e prodotti innovativi. L’obiettivo principale dell’hackathon è quello di trovare “la prossima cosa di cui non si potrà più fare a meno“.  In sostanza lo scopo è attrarre persone appassionate di tecnologia che vogliono fare la differenza, curiose e desiderose di imparare attraverso l’esperienza pratica, indipendentemente dal successo o dal fallimento. Dal punto di vista della strategia di employer branding, gli obiettivi del Garage sono la promozione di una mentalità di crescita, l’attenzione verso il cliente, la diversità, l’unità aziendale e la voglia di fare la differenza. Il Garage, oltra a offrire spazi per la creazione di progetti e per la sperimentazione tecnologica, organizza eventi, workshop e hackathon per i dipendenti di Microsoft sparsi in tutto il mondo. Il Garage coinvolge più di 70.000 persone e offre l’opportunità di creare team specializzati  per portare avanti le idee più innovative. La valutazione dei singoli progetti è basata sul loro potenziale di brevetto, di fattibilità e di allineamento agli obiettivi aziendali.

Sul podio mondiale

Anche per questo, Microsoft è stata riconosciuta, a livello globale, come una delle migliori aziende in cui lavorare. Nel 2023, infatti, si è classificata al terzo posto nell’annuale lista delle “World’s Most Admired Companies” stilata dalla rivista americana Fortune.

Questa politica di innovazione, ha portato Microsoft a investire costantemente nella formazione e nello sviluppo dei dipendenti, per consentire loro di crescere professionalmente in modo significativo. Il lavoro fatto, in termini di attrattiva da parte dei potenziali dipendenti, ha indubbiamente dato i suoi frutti: la strategia di employer branding di Microsoft si è dimostrata essere altamente efficace e ha creato un’immagine positiva come datore di lavoro attraente e di successo.

La presenza online

Secondo il vice presidente corporativo Chuck Edward, il successo di Microsoft è dovuto alla capacità dell’azienda di combinare l’energia tipica di una startup, con la possibilità di portare idee e innovazioni sul palcoscenico globale, caratteristica propria delle aziende multinazionali. Secondo Edward, il segreto sta sia nel riuscire a mantenere un’affermata competitività, sia nel riuscire a portare avanti costantemente la ricerca e l’innovazione.

Per il CEO di Microsoft, Satya Nadella, un elemento chiave del successo aziendale è da cercare nell’applicazione della filosofia del “mobile-first and cloud-first world” in tutti i suoi settori, compreso l’employer branding. Un fattore fondamentale nella strategia attuata da Microsoft è proprio la marcata presenza online dell’azienda. Grazie all’utilizzo dei social media, dei blog e di tutti gli altri canali online a disposizione, Microsoft è riuscita a creare un sistema potente ed efficace per dare informazioni sulle opportunità e sui vantaggi offerti a tutti i dipendenti.

La persona è al centro di tutto

Anche in questo caso, quindi, la centralità dell’individuo e la creazione di una forte cultura aziendale, si sono concretizzate in azioni che sono state in grado di trasformare Microsoft in un’azienda capace di attrarre i migliori talenti del settore presenti sul mercato.

Per rendere ancora più umano il processo di conoscenza e trasparenza dell’azienda per i potenziali dipendenti, Microsoft ha creato anche un portale dedicato ai dipendenti, chiamato Microsoft Life, il cui scopo è ben rappresentato dalle parole che troviamo in prima pagina “We’re the #PeopleOfMicrosoft—employees representing communities and cultures of the world, coming together to help others achieve more. That’s our Microsoft Life, and these are our stories” (“Siamo #PeopleOfMicrosoft, dipendenti che rappresentano le comunità e le culture del mondo che si uniscono per aiutare gli altri a ottenere di più. Questa è la nostra “Microsoft Life” e queste sono le nostre storie”). Il portale fornisce informazioni su tutti gli aspetti della vita aziendale, dalla formazione alla salute, e lo fa in maniera coerente con la strategia di employer branding, ovvero tramite il racconto diretto dei suoi dipendenti.

Perfettamente in linea con tutta la politica aziendale, Microsoft si impegna a fornire ai propri dipendenti una vasta gamma di benefici e opportunità, tra cui un’ampia scelta di piani di assicurazione sanitaria, programmi di sviluppo professionale, formazione continua e ultimo, ma non per merito, un generoso piano di congedo parentale.

Microsoft fornisce un ottimo esempio di quanto sia importante un’efficace strategia di employer branding, specialmente per le aziende seriamente intenzionate a investire risorse in questo settore. Grazie alla sua politica basata sul valore dei propri dipendenti, sulla presenza online e sulla responsabilità sociale, Microsoft è riuscita a migliorare la propria reputazione come datore di lavoro e a diventare, a livello globale, una delle migliori aziende in cui lavorare.

Employer Branding su LinkedIn: come farlo bene

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Definisci la tua strategia 

Prima di iniziare a utilizzare LinkedIn per l’employer branding, devi avere chiara la strategia che vuoi seguire: chiediti cosa vuoi comunicare, a chi lo vuoi comunicare e come vuoi farlo. Ad esempio, se stai cercando di attrarre giovani talenti appena laureati, potresti volerto concentrare sulla cultura aziendale e sui benefici offerti ai dipendenti. Diversamente, se stai cercando di assumere professionisti esperti e qualificati, potresti sottolineare le opportunità di carriera e crescita professionale all’interno della tua azienda. “First things first”, dicono gli americani, quindi sicuramente il primo passo è stabilire un obiettivo e mantenere il focus su questo.

Crea una pagina aziendale

Per realizzare su LinkedIn una strategia di employer branding efficace, è indispensabile creare una pagina aziendale accattivante con una descrizione chiara e concisa della tua azienda, evidenziando la mission e mettendo in bella mostra tutte le informazioni riguardanti le opportunità di carriera disponibili. Potresti inoltre indicare i benefit aziendali per i dipendenti e le eventuali iniziative di responsabilità sociale. Infine ricordati di includere una foto di copertina e un logo aziendale di qualità, non solo per ragioni estetiche ma soprattutto, per rendere il tuo brand immediatamente riconoscibile.

Crea contenuti di valore

LinkedIn offre diverse opportunità per creare contenuti di valore per i tuoi follower. Ad esempio, potresti creare post che mostrino come è l’ambiente di lavoro nella tua azienda; pubblicare notizie pertinenti e interessanti per il tuo settore; condividere approfondimenti sui trend del mercato; raccontare storie di successo dei tuoi dipendenti. In questo modo, dimostreresti la tua esperienza nel settore dando risalto all’attenzione che dai alla tua azienda.

Interagisci con la tua audience

Per fare employer branding in modo efficace, è importante che tu interagisca con la tua audience. Rispondi ai commenti e alle domande, condividi i post dei tuoi follower, ringrazia per i feedback positivi e fai tesoro di eventuali feedback negativi. In questo modo, potrai creare un rapporto di fiducia con i tuoi follower e al contempo dimostrare che l’azienda è attenta alle loro esigenze e opinioni.

Coinvolgi i dipendenti

I dipendenti sono il principale asset di ogni azienda e sono pertanto uno dei fattori chiave per il successo della tua strategia di employer branding. Potresti quindi invitarli a seguire la pagina aziendale di LinkedIn e a condividere con i loro follower i contenuti che troveranno in quella. Infine potresti anche incoraggiarli a scrivere post che parlino della loro personale esperienza lavorativa all’interno dell’azienda, magari trovando soluzioni creative che li incentivino a condividere la loro storia.

Sfrutta il potere dei video

I video sono un ottimo modo per presentare la tua azienda e la cultura aziendale che ne sta alla base. Pertanto potresti creare video coinvolgenti che presentino la tua attività e, nello specifico, potresti farlo con interviste ai dipendenti, visite virtuali agli uffici e con simpatici video di “backstage” che rendano tutto più accogliente senza però mettere in discussione la professionalità aziendale. Assicurati infine che siano video di buona qualità ottimizzati per i social media.

Sfrutta la pubblicità

LinkedIn offre molte funzionalità utili per fare employer branding. Puoi infatti promuovere i tuoi post per incrementarne la visibiità, creare annunci di lavoro, attivare strategie di lead generation. Cerca di utilizzare le opzioni pubblicitarie che meglio si adattano ai tuoi obiettivi e al tuo segmento di pubblico per massimizzare in modo accurato il ROI (ritorno sull’investimento) delle tue campagne. Utilizzando queste funzionalità avrai ottime possibilità di raggiungere il pubblico giusto promuovendo la tua azienda come datore di lavoro.

Crea un piano editoriale ad hoc

per avere successo nell’employer branding su LinkedIn, è importante creare un piano editoriale specifico per il tuo obiettivo. Dovrebbe toccare diversi punti, come ad esempio le tematiche di maggiore interesse per il tuo pubblico di riferimento, la tipologia di contenuti da pubblicare e la frequenza di pubblicazione. Ricorda che LinkedIn è un social network professionale, quindi è importante scegliere con cura solo gli argomenti che possano essere utili e interessanti per la tua audience in modo da migliorare costantemente le tue strategie di employer branding. Potresti quindi parlare delle attività dell’azienda, degli eventi a cui partecipi, delle opportunità di carriera e delle tematiche legate al settore in cui operi.

Sii costante

Una delle chiavi per una strategia di successo è la costanza. Devi pubblicare regolarmente dei contenuti e interagire con la tua audience se vuoi vedere arrivare i risultati e se vuoi farli crescere. Ricorda che per fare questo, la presenza sui social network richiede tempo e dedizione, perciò è importante che ti organizzi per dedicare una parte della giornata alla gestione della pagina LinkedIn della tua azienda. In questo modo, potrai sia mantenere vivo l’interesse della tua audience, sia consolidare la tua presenza online, due fattori determinanti per l’employer branding.

Misura i risultati

Infine, è bene che misuri i risultati raggiunti. Per fare questo puoi utilizzare gli strumenti di analisi forniti da LinkedIn, ad esempio potresti voler monitorare l’engagement sui post, il numero di follower, i risultati delle campagne pubblicitarie, il numero di visualizzazioni dei tuoi post, i like ricevuti, i commenti e le condivisioni. In questo modo, potrai capire quali sono i contenuti che funzionano, e potrai apportare di conseguenza le modifiche adatte alla tua strategia di employer branding.

In conclusione, l’employer branding su LinkedIn può essere uno strumento davvero molto efficace per attrarre nuovi talenti e consolidare la reputazione della tua azienda. Ricorda che per avere successo, è fondamentale creare una strategia di comunicazione efficace, pubblicare contenuti di qualità e interagire con la tua audience in maniera adeguata. Come per la maggior parte delle attività, non occorre fare tutto in una sola volta: pianificando la tua strategia con cura e facendo un passo dopo l’altro, riuscirai a raggiungere tutti gli obiettivi che ti sei prefissato.

Definire i valori e l’identità dell’azienda: le basi dell’employer branding

Definire i valori e l’identità dell’azienda: le basi dell’employer branding 2560 1707 AlbertoFalchi

OK, hai deciso di voler far crescere la tua azienda e di assumere i migliori talenti che puoi trovare in giro. Mettiamo per semplicità che il budget non sia un problema e che puoi permetterti di investire il necessario in iniziative di employer branding, sia interno sia esterno, e che hai già trovato la persona che le seguirà. Sei insomma pronto per partire. Manca solo un dettaglio. Definire qual è il punto di forza della tua azienda. O, più banalmente, dare una risposta a una domanda solo in apparenza semplice: perché una persona dovrebbe venire a lavorare da me?

Employer Branding: il primo passo è individuare i tuoi punti di forza

Spesso mi capita di avere a che fare con imprenditori che vogliono attirare più talenti per far crescere la propria azienda e si lamentano della difficoltà di trovarli. Sicuramente non è facile oggi trovare persone preparate, soprattutto in ambiti molto specifici, dove le competenze scarseggiano e le aziende fanno a gara per coinvolgerli. La prima domanda che faccio a questi imprenditori è la seguente: “Cosa metti sul piatto?”. Nella maggior parte dei casi, la risposta è disarmante: “un contratto regolare, pagamenti puntuali e sono disposto a offrire uno stipendio anche superiore alla media di mercato”.

Questo è anche il motivo per cui faticano più di altri ad attirare le persone giuste. Un contratto regolare, con pagamenti sicuri alla fine del mese, non sono un plus, sono il minimo indispensabile. La paga superiore al mercato, di contro, può essere un plus, ma da sola non basta. Sono infatti finiti i tempi in cui il posto fisso era la massima aspirazione della maggior parte dei lavoratori. La pandemia ha cambiato la prospettiva, e ci vuole ben altro, come dimostra il fenomeno delle grandi dimissioni, che ha interessato figure a ogni livello dell’organizzazione, dai semplici impiegati agli ingegneri chiave. Oggi, soprattutto i più giovani, quelli della Generazione Z, cercano altro.

Le ambizioni della Gen Z (e non solo): la flessibilità

Flessibilità, valori, stimoli. Possiamo sintetizzare così i desideri delle nuove generazioni, ma anche di tanti Millenials e non solo. Flessibilità, intesa come la possibilità di fare smart working. E per smart working intendo quello vero, che non prevede la necessità di andare in ufficio in giorni prestabiliti. Lavorare due giorni alla settimana da casa non è smart working, è lavoro da remoto, e nemmeno a tempo pieno. E non attira più di tanto le persone, tanto che le aziende più illuminate, dopo aver inizialmente fatto simili proposte, hanno cambiato idea e hanno deciso di lasciare totale libertà ai propri dipendenti. Del resto, a meno che ti serva una persona allo sportello, cosa cambia se uno sviluppatore lavora da casa, da una nave da crociera, da una villa a Bali o saltando da un Paese all’altro ogni poche settimane? L’importante è che faccia bene il suo lavoro e molti talenti preferiscono fare i nomadi digitali, vivere in un perenne viaggio, senza però rinunciare a lavorare e senza arrangiarsi a cercare una nuova occupazione a ogni spostamento. Ovviamente, se vuoi portare a bordo figure tanto libere, devi ripensare l’organizzazione del lavoro, di tutti: il vero smart working ti impone di ripensare l’approccio. Di rinunciare a eventuali manie di controllo “di persona”: no, non potrai avere la soddisfazione di vedere i tuoi dipendenti chini tutte le 8 ore previste sulla scrivania. Non potrai sapere cosa stanno facendo. E, lasciatelo dire, non ti deve interessare. Ti cambia qualcosa se giocano a GTA, guardano una serie su Netflix o si fanno un bagno al mare, per lo meno sino a che raggiungono gli obiettivi concordati nei tempi previsti? Non deve mancare controllo, naturalmente, ma il controllo si deve spostare sul raggiungimento dei risultati, non su come li raggiungono e in quali orari sono davanti alla scrivania. Anche perché ti svelo un segreto: spesso, i dipendenti che vedi impegnati davanti allo schermo stanno facendo tutt’altro, e tirano fuori il foglio Excel solo quando passi alle loro spalle e puoi vedere il contenuto del loro display

Le ambizioni della Gen Z (e non solo): gli stimoli

Quando ti parlo di stimoli non mi riferisco solo a quelli economici, che sono sì importanti, ma non tanto quanto credi. Se vuoi portarti a casa un bravo sviluppatore non basta pagarlo più di quanto prende attualmente: devi convincerlo che lavorando con te potrà continuare a imparare nuove cose, lavorare su progetti complessi, sfidanti ma anche in grado di avere un impatto reale sulla vita delle persone. Aiutarle a risparmiare tempo, denaro o energia, o anche solo a vivere meglio. Questo può essere un esempio di stimolo, ma non è certo l’unico. Altri stimoli possono essere un ambiente di lavoro collaborativo e libero: Google, per esempio, inizialmente concedeva ai suoi sviluppatori 8 ore alla settimana da dedicare a progetti personali. Progetti che non dovevano necessariamente portare a risultati economici, né sul breve né sul lungo termine. Potevano tranquillamente essere fallimentari, e nessuno avrebbe avuto da dire. Inutile che ti dica che alcune delle migliori innovazioni di Google sono partite proprio da qui.

Un altro stimolo potrebbe essere ricercato nell’ambiente di lavoro. “Ma come? – dirai – mi hai appena detto che nessuno vuole più venire in ufficio”. In realtà non ho detto questo, ma che le persone cercano libertà. Anche di non venire in ufficio, se non quando proprio è necessario. Ma questo non significa che non devi avere una o più sedi fisiche. Tutt’altro: dovresti averne più di una, se le dimensioni della tua azienda te lo permettono, sparse geograficamente. Così, anche i nomadi se un giorno desiderano fare un salto in sede, potranno avere tutto quello che serve loro: caffè e snack, un ambiente dove scambiare opinioni, una sala riunioni ben attrezzata dove fare le videochiamate o le videoconferenze. Delle sale per incontrare partner e clienti. E perché no, delle zone relax, con biliardini, tavoli da tennis, videogiochi e non solo. Anche i nomadi digitali vorranno fare un giro in una simile sede, una volta ogni tanto.

Altri stimoli, infine, possono essere i benefit: vacanze aziendali, così da fare teambuilding, per esempio. Ma, forse ancora più importante, la dotazione: un computer e uno smartphone adeguati alle necessità; SIM gratuite per la connettività; display, auricolari o cuffie e webacam di ottimo livello, così da rendere più produttive le ore dedicate al lavoro.

Le ambizioni della Gen Z (e non solo): i valori

Puoi pagare tantissimo i tuoi dipendenti, ma ci sono aziende dove proprio non vorranno lavorare a nessun costo. In particolare, quelle che non si dimostrano inclusive o che fanno greenwashing, cioè promuovono iniziative sulla sostenibilità ambientale di facciata, non concrete. Ora, non ti dico che nella tua azienda devi mettere domani le quote rose o riempire i tetti delle tue sedi di impianti fotovoltaici, ma se non dimostri attenzione a questi temi, a partire dai tuoi annunci, non sarà facile attirare nuove figure di talento.
Se nell’annuncio specifichi che cerchi una segretaria per il dirigente, parti male. Così come se cerchi un maschio per il ruolo di dirigente. Inclusività naturalmente non significa dover cedere a tutte le mode del momento, incluse le più sgrammaticate: puoi evitare gli asterischi o lo scwha senza il rischio di essere considerato una persona terribile.

Conclusioni

Ti ho elencato quelle che oggi sono le caratteristiche che più attraggono i lavoratori. Non devi ovviamente averle tutte, sarebbe impossibile. Quello che vorrei trasmetterti con questo articolo è che prima ancora di fare employer branding, devi individuare quali sono i caratteri distintivi che puoi trasmettere dalla tua azienda e di come è lavorare al suo interno. Rispondere, insomma, alla domanda posta all’inizio: “Cosa metti sul piatto?”. Se non riesci a distinguerti, a trovare una caratteristica in grado di attrarre, prima di cercare talenti è meglio fermarti un momento e ragionare, insieme alla persone che già lavorano per te, su cosa vorrebbero. Cosa potrebbe renderli più felici e motivati. Se non ti concentri su questo, infatti, le tue attività di employer branding difficilmente avrebbero successo: sono le persone che lavorano con te i principali ambasciatori. E se non le soddisfi, il rischio non è quello di faticare a trovarne di nuove, ma di perdere le competenze che già hai in casa.  

Employer Branding: i KPI e le metriche per misurare il tuo successo

Employer Branding: i KPI e le metriche per misurare il tuo successo 1555 982 AlbertoFalchi

Quando si parla di business è fondamentale che i progressi siano misurabili in maniera chiara ed efficace. Questo vale anche per l’employer branding, benché faccia riferimento a una sfera di attività non immediatamente riconducibile ai numeri. Per misurare i progressi in questo ambito ci vengono in aiuto i KPI (Key Performance Indicators), ovvero gli indicatori chiave delle performance. Sviluppati negli anni ’90, come strumento per misurare il successo aziendale, analizzano i fattori chiave di aree specifiche per fornire un quadro delle prestazioni aziendali che influiscono sul successo dell’azienda. I KPI hanno l’obiettivo di identificare e monitorare i fattori chiave come la qualità del servizio, la soddisfazione del cliente, la produttività, l’efficienza e via dicendo. Per fortuna grazie alla rivoluzione digitale, è diventato sempre più facile raccogliere e analizzare i dati necessari per ottenere misure affidabili e basate sui dati.

Gli indicatori chiave di produttività sono indubbiamente un argomento molto vasto e sfaccettato, per questo occorre conoscerne le basi per poterne valutare l’impatto delle strategie di employer branding.

Esistono infatti sottocategorie di KPI specifiche che possono essere suddivise sia in base alla “quantità” sia in base alla “qualità”, a seconda che si basino su valori numerici oppure su valutazioni soggettive.

Le caratteristiche chiave dei KPI

Per essere efficaci, i Key Performance Indicators (KPI) devono avere le seguenti caratteristiche:

  • Misurabilità: devono essere facilmente misurabili e quantificabili numericamente
  • Specificità: devono essere specifici e riferirsi a obiettivi ben definiti
  • Obiettività: devono essere oggettivi e basati su dati certi
  • Temporalità: devono avere una cadenza temporale definita (giornaliera, settimanale ecc)
  • Rilevanza: devono essere pertinenti e rilevanti per gli obiettivi aziendali.
  • Affidabilità: devono fornire risultati coerenti e affidabili nel tempo.
  • Facilità d’uso: devono essere facilmente comprensibili e utilizzabili da tutti i dipendenti.

L’employer branding si riferisce all’immagine che un’azienda ha come datore di lavoro, cioè si riferisce alla percezione che gli attuali e potenziali dipendenti hanno sia del posto di lavoro sia della cultura aziendale. Non solo: le strategie di employer branding hanno come obiettivo principale la creazione di un’immagine positiva dell’azienda per attrarre i migliori talenti e aumentare la fidelizzazione di chi è già assunto.

Nello specifico, il cosiddetto employer branding interno, si concentra sul coinvolgimento e sulla motivazione degli attuali dipendenti attraverso un ambiente di lavoro positivo in cui le opportunità di crescita si uniscono a una comunicazione trasparente con i dipendenti. In questa specifica strategia di employer branding è perciò necessario scegliere i KPI adeguati e misurare le metriche appropriate in modo da identificare le opportunità di miglioramento e monitorare i progressi nel tempo. Per quanto riguarda l’employer branding interno, è bene tenere traccia delle iniziative e degli eventi aziendali che hanno lo scopo quello di migliorare la cultura aziendale e di rafforzare il legame tra i dipendenti e l’azienda. Le iniziative possono includere giornate di formazione, attività di gruppo, eventi sociali e altro ancora.

I KPI da tenere sotto controllo

Ma quindi quali KPI dovresti misurare? Per quanto riguarda l’employer branding ecco alcuni KPI che potresti voler misurare:

Tasso di assunzione: questa metrica misura il numero percentuale di candidati effettivamente assunti rispetto al numero totale dei candidati totali che hanno fatto richiesta di assunzione. Ma cosa ti significa esattamente questo valore in relazione al tuo employer branding? Se ad esempio avessi un tasso di assunzione elevato, allora significherebbe che l’azienda, agli occhi dei candidati, avrebbe un’immagine positiva e sarebbe percepita come posto di lavoro desiderabile che offre condizioni di lavoro attraenti con una cultura aziendale positiva.

Tasso di turnover: questa metrica indica, rispetto al totale dei dipendenti, la percentuale dei dipendenti che hanno lasciato l’azienda. È un valore che viene abbastanza comunemente preso in considerazione, sia dai dipendenti stessi sia dai clienti, specialmente se va a colpire i dipendenti a contatto con un pubblico più o meno abituale. Un tasso di turnover elevato quindi, sempre analizzato da un punto di vista di employer branding, indica sia una bassa fidelizzazione dei dipendenti sia una probabile miopia aziendale: nello specifico, per quanto riguarda la parte strettamente aziendale, potrebbe essere indice di incapacità, durante la fase di assunzione, nel riconoscere i candidati più adatti a svolgere la mansione, sia, una volta assunti, di valorizzare gli stessi all’interno del contesto aziendale. Appare qui evidente come le strategie di employer branding possano essere un valido aiuto per individuare problematiche a monte nell’organizzazione della tua azienda.

Tasso di partecipazione alle attività di team building: questo importante KPI valuta l’engagement e la motivazione dei dipendenti oltre che la loro capacità di lavorare in team e di costruire relazioni sociali interne positive. Può essere calcolato come rapporto tra il numero di dipendenti che hanno partecipato a una determinata attività di team building e il numero totale di dipendenti dell’azienda. Questo KPI è un importante indicatore del successo delle iniziative di employer branding interno dell’azienda, poiché la partecipazione è direttamente correlata all’engagement complessiva dei dipendenti. Un tasso di partecipazione alle attività di team building elevato elevato indica che i dipendenti sono motivati e coinvolti nell’azienda, mentre un tasso basso può essere indicatore di un ambiente lavorativo poco stimolante per la crescita personale e professionale dei dipendenti.

Traffico sul sito web dell’azienda: questa metrica comunemente usata per valutare l’efficacia delle strategie marketing, fornisce anche ottimi dati per valutare le strategie di employer branding. Misurando il numero di visite sul sito web dell’azienda, puoi valutare l’andamento del traffico come un andamento dell’interesse per l’azienda come datore di lavoro. Il traffico può essere misurato in molteplici modi, ad esempio tramite il numero di visite uniche al sito web, il tempo trascorso sul sito da parte degli utenti o il numero di pagine viste per sessione. Ovviamente, nel tuo caso non saranno le pagine relative a prodotti o servizi quelle da controllare, ma quelle della sezione dove indichi le posizioni aperte. Queste metriche possono aiutare a capire se le strategie di employer branding stanno attirando l’attenzione del pubblico giusto e se gli utenti stanno interagendo con il sito web in modo rilevante per il tuo obiettivo.

Le aziende che si avvalgono dei KPI per valutare la qualità del proprio employer branding sono davvero tante, vale la pena di ricordare Glassdoor, la piattaforma online che fornisce informazioni sulle aziende (anche grazie alle valutazioni anonime dei dipendenti) che ha fatto dell’employer branding e dell’uso dei KPI un punto di forza in grado di attirare l’attenzione sia di aziende sia di lavoratori. Si tratta prevalentemente di uno strumento di valutazione. Se invece sei alla ricerca di uno strumento per attivare e misurare le tue strategie di employer branding, c’è Link & Lead, una piattaforma per stimolare l’engagement dei tuoi dipendenti. Basata su un algoritmo proprietario, fa leva sul concetto di gamification per trasformare i tuoi collaboratori in brand ambassador.

In sintesi, i KPI sono strumenti preziosi per misurare il successo delle strategie di employer branding, specialmente nella nuova era post covid in quanto il tasso di abbandono del lavoro si è impennato vertiginosamente rispetto agli anni passati e il mismatch tra richiesta e offerta di lavoro sta segnando pesantemente la produttività in diversi settori dell’economia nostrana.

Employer Branding cosa è, a cosa serve e perché è importante per il tuo business

Employer Branding cosa è, a cosa serve e perché è importante per il tuo business 2560 1709 AlbertoFalchi

Il principale problema del mercato del lavoro? La difficoltà a trovare i talenti. Può sembrare strano questo dato considerato che in alcuni Paesi, fra cui l’Italia, è ancora elevato il tasso di disoccupazione, ma per le imprese è sempre più difficile trovare personale specializzato e competente in ambito STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Pochi i laureati così come i lavoratori che già possiedono queste competenze. E questi ultimi sono prevedibilmente molto contesi dalle aziende, che cercano di sottrarli alla concorrenza offrendo paghe migliori e ulteriori benefit.

Il quadro è complicato da un ulteriore parametro: oggi non basta più uno stipendio più elevato della media per convincere un talento a restare in azienda o a sottrarlo alla concorrenza. Bisogna offrire benefit e flessibilità, soprattutto sulle modalità di lavoro, consentendo a tutti di poter lavorare in maniera agile, anche da remoto. Ma c’è anche un altro aspetto: la cultura aziendale. Ci sono ambienti che sono considerati tossici dai lavoratori per vari motivi che possono spaziare da una scarsa cultura della collaborazione a un approccio troppo timido sulle politiche di decarbonizzazione o sull’inclusività in azienda. Sono questi parametri che spesso fanno la differenza, ancora più di una busta paga più generosa. Qui entra in gioco l’employer branding, quell’insieme di pratiche per mostrare ai potenziali lavoratori quanto sia attrattiva la propria azienda e allo stesso tempo per fidelizzare chi è già stato assunto e coinvolgerlo maggiormente.

FAANG, i maestri dell’employer branding

Quando si parla di FAANG si fa riferimento alle principali big tech in termini di fatturato: Facebook (oggi Meta), Amazon, Apple, Netflix e Google. Queste aziende sono in grado di attirare lavoratori come miele non solo perché sono considerate solide dal punto di vista economico ed estremamente innovative. A renderle dei magneti per chi cerca occupazione è l’immagine che sono riuscite a dare di sé: ambienti giovani, moderni, innovativi e stimolanti. Un’immagine che si sono costruite negli anni e che ha permesso loro sia di avere successo nei confronti del pubblico, sia di essere appetibili per i talenti. Pensaci un po’: quando Google parla dei suoi uffici, sottolinea sempre il clima, la presenza di ampie zone relax dove potersi sedere, rilassare, lavorare ma anche giocare. E dove potersi recare a qualsiasi ora del giorno e della notte, ricevendo pure pasti gratuiti. Chi non vorrebbe lavorare in un simile posto?

La strategia di Employer Branding di Microsoft: ecco come è passata da Evil Company a un luogo da sogno

Nonostante il suo enorme successo commerciale, Microsoft per anni non è stata mai vista di buon occhio da molti utenti che, pur utilizzando i suoi prodotti, hanno a lungo criticato le sue politiche molto aggressive, spesso sfociate in cause miliardarie contro l’Antitrust. Da quando Bill Gates ha lasciato l’incarico, però, il colosso di Redmond ha rivoluzionato il suo approccio, soprattutto internamente. Satya Nadella è riuscito a trasformare Microsoft non solo dal punto di vista del business, traghettandola con successo nel monto cloud, di cui oggi è fra i leader, ma anche rendendola “cool”, all’interno e all’esterno. Un esempio di grande successo di employer branding interno è la realizzazione della nuova sede di Milano. Nonostante quella precedente fosse bellissima e nuovissima, è stato scelto di cambiarla dopo pochi anni e portandola al centro della metropoli, nei pressi del Cimitero Monumentale, nonché vicino alle zone più trendy della città, come Corso Come (dove si trova anche Eataly) e la sempre più popolare via Paolo Sarpi, la Chinatown meneghina.

Al contrario della precedente sede, nella periferia, questa è comodamente raggiungibile dai mezzi pubblici, ma mantiene le caratteristiche che avevano guidato lo sviluppo dell’altra: assenza di postazioni fisse, aree relax. Ma soprattutto, un posto dinamico, che accoglie non solo i lavoratori, ma offre spazi aperti per il pubblico, dove si effettuano presentazioni di prodotti, workshop, conferenze stampa. Il bello è che i dipendenti non sono nemmeno obbligati ad andare in sede (e questo accade da prima della pandemia), e possono lavorare da ovunque. Quante persone costrette al vecchio mantra 9-18 farebbero cambio? Sicuramente tantissime, anche senza bisogno di incentivi economici. Anche solo per non sentirsi rimbrottati per un ritardo dovuto magari ai mezzi di trasporto pubblico.

Employer branding: anche i grandi sbagliano. Gli errori errore di Apple e Google

Apple è una delle aziende di maggiore successo al mondo e negli anni ha mostrato tanti alti e bassi, spesso legati proprio alle strategie di employer branding. Fu fondata da Jobs e Wozniak, ma il primo fu fatto fuori dopo alcuni anni dal management. E da lì è iniziato un grande declino. Anni dopo, la decisione di riprendersi Steve Jobs e nominarlo CEO ha dato i suoi frutti: l’azienda ha ripreso a correre, a guadagnare quote di mercato e ha stravolto il mondo tech con l’iPhone prima e l’iPad dopo. La sua sede a Cupertino è oggi una vera e propria mecca, e sono tanti gli appassionati che vanno a visitarla. Nonostante questo, Apple ha passato anche dei momenti difficili coi suoi dipendenti dopo la pandemia, quando ha chiesto loro di tornare in presenza. Cosa che non è piaciuta a chi ci lavorava dentro e in molti, anche fra le figure di spicco, hanno risposto con un secco no, sostenendo che se Apple non avesse cambiato idea, avrebbero cercato una nuova occupazione. Costringendo l’azienda a fare un passo indietro. Il fatto è che non si è trattata di una contrattazione privata: una simile notizia non poteva che rimbalzare su tutti i principali giornali a livello globale, fatto che ha un po’ annebbiato l’immagine luccicante che l’azienda della Mela dava di sé. Sia esternamente, sia internamente. E non sono mancati concorrenti che hanno cercato di farsi belli con l’errore, mostrando come loro – pur meno potenti e conosciuti – lasciavano ai loro dipendenti la libertà di scegliere da dove lavorare.

Employer branding: perché non puoi farne a meno

Oggi se hai un’impresa non puoi sottrarti dall’elaborare qualche strategia di employer branding. Sia per trovare nuove figure che ti permettano di crescere, sia per mantenere le figure chiave che già lavorano con te. Se anche non hai ambizioni di crescita, infatti, sai bene che sostituire un valido collaboratore è difficile e richiede tempo prima che sia formato a dovere e possa dare il meglio. Allo stesso tempo, perdere un dipendente è facilissimo, anche se non sempre tutti lo realizzano. È vero che per anni la filosofia italiana è stata un po’ all’antica, e chi trovava il “posto fisso” difficilmente lo lasciava. Ma le nuove generazioni hanno scardinato questa mentalità e sono disposti a rinunciare a soldi, e in parte anche alle passioni, se non trovano un ambiente a loro consono. Un esempio arriva dalla grande crisi della ristorazione: nonostante questo settore sia fra i più attivi e sia sempre più gli aspiranti chef, sono in tanti, anche fra gli stellati, a faticare a trovare nuove leve. Proprio perché ormai è chiaro che chi lavora in questo settore si troverà a fare sacrifici in un ambiente malsano, stressante, poco inclusivo e pure spesso malpagato. E se prima della pandemia la passione spingeva molti a continuare i sacrifici, con il ritorno alla normalità le persone hanno rivisto ambizioni e priorità. Non tutti i datori di lavoro, però, hanno ancora compreso questo cambiamento dal quale non si può tornare più indietro.

Fermati a riflettere

Ora che hai chiaro il concetto alla base dell’employer branding, ti consiglio di farti una domanda. Cosa posso fare per far sì che i miei collaboratori siano più felici (e produttivi?). E dopo questo, che immagine offro all’esterno? Se dovessi proporre una posizione, quanto sarebbe appetibile per un potenziale candidato? Le risposte non sono banali, naturalmente, e dipendono molto dal settore in cui operi (ovviamente se hai un punto vendita fisico, lo smart working è improponibile per i commessi, per fare un esempio), ma se fatichi a trovare persone, o noti un certo fuggi fuggi fra i tuoi assunti, vale sicuramente la pena di indagare le ragioni profonde, abbandonando quel vecchio modo di pensare che ti spinge a credere che l’entità della busta paga sia l’unica discriminante per un lavoratore.